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Bibenda, per rendere più seducenti la cultura e l’immagine del vino.
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Tecniche di seduzione
Un interessante punto di vista sulle differenze tra seduzione e pornografia.
Pubblicato il 21/12/2016
FotografiaA tavola – dove spesso avvengono le rivelazioni –, una volta, una mia amica (che fa l’autrice per la R.A.I., e che quindi deve essere abituata a ragionare sulle strade che la comunicazione dei media spesso prende) ebbe a definire questa che stiamo vivendo come un’epoca di “pornografia del cibo”. Quella sera, poi, s’è parlato d’altro: anche perché a tavola, dal momento che – mi si dice – la pornografia investe anche campi diversi da quelli enogastronomici, si evita di discorrerne; ma l’intuizione era ottima.
Il punto è il modo in cui la pornografia lavora; la pornografia è forse l’unico campo da cui sia bandita ogni forma di seduzione: da un regno dove l’obbligo è mostrare, poiché nasce dalla necessità di sostituire l’immaginazione, è necessariamente bandita quell’arte della promessa che è la seduzione. Lo dicono, al solito, anche le parole: “sedurre” è ‘portare verso di sé’, mentre è “porno” ‘chi fa del mercimonio’. La pornografia svende ciò che la seduzione ci promette. Che il regno della seduzione sia quello dell’attesa e della promessa è un insegnamento dei grandi esteti:
«L’attesa del piacere non è forse essa stessa il piacere?» si chiedeva Lessing, «La bellezza è promessa di felicità» assicurava Stendhal.
E la seduzione vive nel tempo e per il tempo, dal momento che la sua lenta lusinga funziona perché ci alletta a qualcosa nel futuro e perché si fonda sulla similitudine di un ricordo dal passato: desideriamo qualcosa che ci vien fatto intuire perché ne immaginiamo il piacere futuro e perché ricordiamo un simile piacere passato; mentre la pornografia s’inscrive in un falsato presente che si fabbrica a banale scopo.
Il vino vive di attesa: la dimora della vita sottoterra prima del suo affiorare, i cicli vegetativi, il sogno quiescente del nettare oltre la porta della cantina, la sosta uterina nella bottiglia; di attesa vive l’olio, rinnovandosi d’anno in anno il favoloso miracolo dell’invaiatura; di attese lunghe o brevi vive il cibo. Con che diritto (ci chiederemmo in tono retorico ma sincero) ci abbandoniamo all’exploitation – metà “Grande Bouffe” e metà “Grand Guignol” (comunque ‘grande’) – che in questo periodo stiamo perpetrando a queste nostre ricchezze culturali, sottraendo a loro (e dunque a noi) il dono inestimabile del tempo?
Anche a questo, forse, vuol servire una rivista che abbia lo scopo di “rendere piú seducenti l’immagine e la cultura del Vino”; lo scopo è quello di prendere il nostro tema, vino olio cibo, e raccontarne storie: perché le storie si alimentano di tempo e il tempo alimentano, raccontano il ‘prima’ e il ‘poi’ del loro attimo, seducono perché suggeriscono l’attesa e il ricordo e una promessa d’un ricordo.
La Grande Abbuffata - locandina del film diretto da Marco Ferreri nel 1973
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