Nel cuore della Sicilia, dove il paesaggio vitivinicolo si intreccia da secoli con la storia e le tradizioni contadine, nasce ARCA – Associazione Regionale Catarratto Autentico, un organismo che riunisce produttori, enologi e realtà territoriali accomunate da un obiettivo: preservare e valorizzare l’identità del Catarratto, uno dei vitigni bianchi più antichi e rappresentativi dell’isola.
Il presidente dell’associazione, Sebastiano Di Bella, ripercorre la storia di questo vitigno, dalle origini antichissime ai suoi periodi di fortuna alterna. La sua coltivazione è documentata sin dal XVI secolo: anche Giacomo Profetto, archiatra pontificio ai tempi di Paolo III, lo cita nel trattato “Sulla natura dei diversi tipi di vino” <Il panormita, chiarissimo, bianco e leggero si produce invece nella città siciliana di Palermo … è abbastanza gradevole al gusto>.

Nella storia recente del Catarratto è possibile individuare tre momenti significativi. Nel dopoguerra, l’uva veniva utilizzata principalmente come prodotto da taglio e, nei casi migliori, esportata in Francia. In questo periodo era consistente anche la produzione di distillati: per i produttori comportava poco impegno e un guadagno sicuro.
Il secondo momento coincide con la rinascita dell’enologia siciliana, nella seconda metà degli anni ’80. Si adottò il modello francese e si impiantarono vitigni internazionali, con l’obiettivo di dare visibilità alla produzione regionale e, in un secondo momento, tornare con maggiore autorevolezza ai vitigni autoctoni.
Il terzo step si colloca nel primo decennio del nuovo secolo, quando questo ritorno si compie con successo: i produttori, oggi, sono fieri e pienamente consapevoli nel raccontare un’identità territoriale attraverso i propri vini.
Il Catarratto rappresenta circa un terzo dell’intero vigneto siciliano (29.000 ettari). È presente in tutte le province dell’isola, con una maggiore concentrazione nella parte occidentale. Un tempo era tra le uve più coltivate al mondo: si stima raggiungesse oltre 165.000 ettari, con impianti diffusi ancor oggi in California, Australia e Sudafrica.
Partecipa alla degustazione Tonino Guzzo, enologo di quattro delle sei aziende che compongono il progetto Arca. È stato il primo a credere nelle potenzialità del Catarratto: già a metà degli anni ’90 aveva realizzato un vino con queste uve, che ancora oggi viene prodotto. Tonino si definisce un attento osservatore, custode della memoria del suo lavoro, grazie all’abitudine di annotare ogni esperienza in vigna e in cantina. Sottolinea la straordinaria adattabilità agronomica del vitigno, capace di esprimersi in contesti diversi, ma avverte: solo nei territori ad altissima vocazione il Catarratto rivela la sua vera personalità.
L’associazione ARCA non è una semplice associazione di produttori: è un’alleanza agricola e culturale che unisce sei aziende familiari siciliane. Diverse per territorio e sensibilità, condividono una stessa visione. Dalle Madonie alle colline di Naro, dalle valli del Belice ai rilievi nisseni, ARCA racconta la voce di un entroterra colto e profondo.
L’associazione ci accompagna alla scoperta di sei vini, ognuno espressione di una diversa azienda.
Situata nel centro della Sicilia, tra i comuni di San Cataldo e Serradifalco, Tenute Lombardo è un’azienda familiare fondata dai fratelli Gianfranco, Roberto e Salvatore Lombardo. I suoi vigneti si estendono in un paesaggio collinare d’altura, lontano dal mare, dove le colline bianche e ondulate offrono un ambiente ideale per la produzione di vini.
Il nome richiama ai vigneti di produzione situati a 650 metri sul livello del mare. Terreni franco argillosi di natura calcarea ed escursioni termiche che tra giorno e notte possono superare i 20°C nei mesi estivi. Vinificazione in vasche di acciaio a temperatura controllata, metodo Martinotti.
Giallo paglierino con riflessi verdolini e un perlage persistente. Al naso ampiezza olfattiva e riconoscibilità dei profumi, netta la sensazione agrumata, una scia di pompelmo, fiori bianchi e pesca. Le erbe aromatiche ci calano in un contesto fortemente mediterraneo accompagnato da una salinità olfattiva, una caramella frizzante di lemon selz soda. In bocca è verticale, grande freschezza e vivacità gustativa, finale non lungo ma pulito e privo di scia amarognola. Da aprire come aperitivo o per affiancare piatti delicati.
Tra le aziende del progetto ARCA è quella situata più a ovest. Nasce a Marsala, ma è a Salemi che esprime il suo cuore produttivo, unico comune montano in provincia di Trapani. A guidarci nel racconto è Rosanna Caruso. L’azienda è stata fondata dal padre, che ha realizzato un sogno coltivato da tutta la famiglia. Per anni le uve erano state conferite ad altre cantine del territorio; lui, invece, ha scelto di creare un'azienda propria e di chiudere in bottiglia i frutti della loro terra, trasformandoli finalmente in vini con un’identità familiare. Negli ultimi anni l’azienda ha vissuto un importante restyling: oggi Rosanna è alla guida, affiancata dalla sorella e dal cognato.
Il nome del vino è il suo vero biglietto da visita: richiama l’eleganza e la finezza del perlage. A rendere unico questo contesto è soprattutto il suolo, un terreno difficile e sassoso, disseminato di pietre locali chiamate “cuti”. Si tratta di substrati poveri, drenanti e ricchi di scheletro, che costringono la vite a una lotta quotidiana per sopravvivere. Fondamentali, in questo equilibrio, sono anche la brezza marina — delicata e costante — e la marcata escursione termica tra il giorno e la notte. Il processo produttivo prevede una fermentazione alcolica in acciaio a temperatura controllata, sosta 36 mesi sui lieviti e affina alcuni mesi in bottiglia prima di essere messo in commercio in tiratura limitata.
Dorato, luminoso con un fine perlage. Colpisce al naso per l’eleganza, l’assenza di banalità e le forti percezioni mediterranee. Sensazioni più evolute rispetto al precedente assaggio: l’agrume tende al candito, frutta secca, parte floreale in appassimento, miele e un tocco fumé. Eleganza che continua al sorso, con la firma della Sicilia e del sale: c’è freschezza, ma è la sapidità che dà al sorso una godibilità croccante e di grande piacevolezza. Col suo finale lungo e pulito, a tavola ti fa compagnia per diverse portate, perché ha struttura e ha sostanza.
Tra le fertili valli che si aprono dalle montagne del Corleonese fino al golfo di Castellammare, un feudo di 400 ettari che custodisce una lunga tradizione agricola. Una storia che, dal 1867, si intreccia profondamente con la famiglia Di Lorenzo. Oggi l’azienda è guidata da Renato Di Lorenzo, affiancato dalla moglie Maria Paola e dai figli Laura e Mario, entrambi coinvolti in prima persona nelle attività produttive e commerciali. La famiglia è ormai arrivata alla quinta generazione. L’azienda sorge nel Comune di Monreale, nella zona di Grisì, territorio ricco di realtà viticole e da sempre riconosciuto come area di altissima vocazione. Opera in regime biologico, nel pieno rispetto dell’ambiente e delle tradizioni agronomiche locali.
Il nome è legato a un’antica leggenda popolare che narra di un tesoro nascosto nel Feudo Disisa e mai ritrovato. Il Catarratto è stato introdotto nel 2012 e la prima annata di questo vino risale al 2016. La vigna si trova a un’altitudine di 400 metri sul livello del mare, in terreni argillosi, ricchi, fertili e profondi. Qui è possibile effettuare un’irrigazione di soccorso nelle annate più difficili, grazie ai bacini che raccolgono l’acqua piovana durante l’inverno. Dopo una pressatura soffice, il mosto affronta una decantazione statica, quindi una fermentazione a temperatura controllata. Il vino viene poi conservato sui lieviti di fermentazione in acciaio inox per 8 mesi e successivamente stabilizzato a freddo.
Brillantezza cromatica e aspetto visivo molto affascinante. Colpisce per intensità olfattiva, un profumo prorompente, molto deciso verso il fruttato, un gioco tra la pesca bianca e l’agrume, sorretto da una sensazione iodata che ci riporta in un contesto marino, anche in questo caso la presenza di macchia mediterranea e un pochino di menta. Rilevante morbidezza di questo vino, sensazione quasi vellutata, oleosa, che è frutto di una sapiente scelta di utilizzazione delle fecce fini dei lieviti di fermentazione, per cui abbiamo da un lato questa spinta vibrante di agrumi, di freschezza quasi citrina, dall'altro questa sensazione cremosa a bilanciare perfettamente il sorso. Chiusura avvolgente. Da provare su pasta con le sarde o formaggi freschi.
A Valledolmo, là dove le pendici orientali delle Madonie iniziano a farsi più dolci e l’aria si fa sottile, prende forma uno dei racconti più autentici della viticoltura collinare siciliana. In questo paesaggio fatto di luce, silenzi e vigne caparbie, l’azienda Castellucci Miano ha scelto di seguire una via tutta sua. Guidato dalla visione di Piero Piazza e in sinergia con l’enologo Tonino Guzzo, il progetto nasce con un’intuizione controcorrente: credere nel Catarratto come vitigno d’altura, un compagno di viaggio capace di parlare la lingua delle montagne.
Il vino nasce da tredici microvigneti ad alberello situati tra i 700 e i 930 metri di altitudine, in un contesto caratterizzato da marcate escursioni termiche. I suoli sono sabbiosi-argillosi, di medio impasto, con reazione alcalina dovuta alla presenza di calcare attivo. La vinificazione avviene in acciaio, dove il vino matura sui lieviti per 18 mesi, seguiti da un affinamento in bottiglia di almeno 6 mesi prima della commercializzazione. La scelta della bottiglia renana richiama volutamente la tradizione dei grandi vini bianchi.
Nel calice si presenta con un giallo paglierino luminoso. Al naso emerge una maggiore rotondità: le note agrumate lasciano spazio a sensazioni di frutta gialla matura e a un leggero tratto esotico di ananas. La componente floreale richiama la ginestra in fase di appassimento, accompagnata da una lieve sfumatura fumé e da una piacevole impronta salmastra. All’assaggio rivela una struttura quasi masticabile, segno di forte concentrazione, sostenuta da una splendida spinta fresca e salina che si prolunga con eleganza nel finale. Una grigliata di pesce e verdure è un’ottima idea di abbinamento.
Alle pendici meridionali del complesso montuoso che abbraccia Palermo, tra le campagne di San Giuseppe Jato e Camporeale, il paesaggio si apre su una terra luminosa, fatta di vigne, vento e memoria contadina. È qui che batte il cuore produttivo di Di Bella Vini, un’azienda familiare sotto la guida attenta del nostro ospite Sebastiano Di Bella. La cantina, più che un semplice luogo di produzione, è diventata un laboratorio vivo, un crocevia di idee e curiosità. Giovani tecnici, ricercatori universitari e vignaioli della zona vi si incontrano per osservare il vitigno sotto condizioni estreme, studiarne le reazioni, comprenderne i limiti e le potenzialità. L’obiettivo comune è chiaro: accompagnare il Catarratto verso una maggiore resilienza climatica e ridurre l’impatto ambientale.

Nasce nell’Alta Valle dello Jato, da vigneti situati tra i 400 e i 500 metri di altitudine. La selezione degli acini è estremamente accurata, frutto di controlli sia manuali sia tecnologici. La prima frazione di mosto viene scartata per eliminare eventuali tracce di metalli pesanti. La vinificazione prosegue poi in acciaio, dove il vino matura per circa sette mesi.
Nonostante l’annata, il vino mostra una tonalità che tende al verdolino, segno di freschezza e ottima salubrità. Il tempo gli ha regalato una piacevole evoluzione minerale, con un accenno di idrocarburi. Il frutto, ancora sorprendentemente fresco e dolce nella maturità, si integra con persistenti profumi floreali di ginestra, che ne completano l’aroma. Al sorso si percepisce un elegante passaggio di testimone tra freschezza e sapidità: il vino lascia la bocca pulita e tesa grazie alla sua marcata componente salina. Ottimo l’abbinamento con formaggi oppure con carni bianche accompagnate da salse delicate.
Nasce negli anni ’60 come naturale evoluzione di una tradizione familiare oggi giunta alla terza generazione. L’azienda si estende per venticinque ettari nella provincia di Agrigento: venti ettari si trovano in contrada Cammuto, nel territorio di Naro, e cinque in contrada Giangaragano. I Bagliesi sono una famiglia di agricoltori, persone concrete, che vivono il lavoro quotidianamente, sia in campo che in cantina. Vito, pur non avendo studi tecnici o scientifici, conosce e controlla ogni aspetto dell’azienda, tanto dal punto di vista tecnico quanto da quello amministrativo. In questo è affiancato dal genero per la parte amministrativa e dal figlio per le attività in campagna, oltre a due operai presenti tutto l’anno, grandi lavoratori che contribuiscono in modo fondamentale alla vita dell’azienda.
Il nome VB59 è un omaggio dei figli al padre: riprende le iniziali di Vito Bagliesi e il suo anno di nascita. La zona di produzione è la contrada Cammuto. Il vino sosta sui lieviti fini per 18 mesi; durante questo periodo i lieviti vengono “rinfrescati” con quelli della nuova annata, poiché dopo un anno tendono a consumarsi. L’aggiunta di lieviti freschi dona nuova vitalità al vino, contribuendo alla sua complessità. Segue un affinamento in bottiglia di 6 mesi prima della commercializzazione.
Nel calice si presenta di un giallo brillante. L’aspetto evolutivo, ancora nelle fasi iniziali, è particolarmente interessante: una leggera nota affumicata, simile al fiammifero spento e legata alla lisi dei lieviti, lascia gradualmente spazio a sensazioni minerali. Restano ben riconoscibili le caratteristiche identitarie del vino: l’agrume che tende ad ammorbidirsi, la componente floreale che vira appena verso il miele, una frutta leggermente esotica ma sempre fresca, e una raffinata sensazione di erbe aromatiche. Il corredo olfattivo risulta così complesso e articolato. Al palato è avvolgente, ben equilibrato tra freschezza e sapidità. In tavola si presta a un’ampia varietà di abbinamenti, dal tonno al pollo arrosto.

In chiusura, la degustazione dei sei Catarratto ha messo in luce ciò che rende questo vitigno così straordinariamente attuale: la sua plasticità. Nelle mani di produttori diversi, il Catarratto cambia espressione senza mai perdere se stesso. È capace di vestirsi di freschezza tagliente o di morbidezza luminosa, di esprimere struttura o scorrevolezza, complessità o essenzialità.
Ogni azienda ha restituito una identità precisa, immediatamente riconoscibile: interpretazioni coerenti con il territorio e con la filosofia produttiva, capaci di raccontare storie diverse pur partendo dalla stessa uva. È un mosaico in cui ogni tessera ha un colore proprio, ma tutte insieme compongono un’immagine nitida della Sicilia contemporanea. Eppure, tra queste differenze, un filo comune emerge con forza: quel sentore di erbe mediterranee che sembra nascere spontaneo dalla terra stessa e che riconduce ogni bicchiere alla sua origine. Un tratto distintivo che unisce, come una firma aromatica, vini tanto diversi e allo stesso tempo profondamente siciliani.
Sei interpretazioni, un unico vitigno, una sola certezza: il Catarratto non smette di sorprendere, e ha ancora molto da raccontare.
Gabriele Torcigliani
ASSOCIAZIONE REGIONALE DEL CATARRATTO AUTENTICO
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