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Il capasone e la diversa interpretazione del Primitivo
Pubblicato il 06/03/2015
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Esistono emozioni di fronte alle quali l’inchiostro umilmente arretra, nella speranza di riuscire a lasciare suggestioni che invitino al viaggio. Un viaggio che è assieme fonte di stupore e miniera di conoscenza, scandito dai ritmi della più antica tradizione. È questa la sensazione che resta al termine di una visita presso la vinicola Savese, a chiosa e ricordo di un itinerario articolato tra filari di Negroamaro e Primitivo, tra alberelli di oltre settanta anni, vasche in cemento e capasoni. Ma sono proprio questi ultimi a costituire l’emblema di antiche consuetudini e il rimando alle peculiarità della storia enologica della Puglia salentina; un lungo trascorso che si fonde in armonia con talune altre espressioni della quotidianità locale. Laddove regna la quiete, infatti, i confini non sono mai netti e sembra quasi impossibile delineare quell’elemento “fisico”, capace di discriminare tra l’arte di fare il vino e cultura del posto.

Storie di vita racchiuse in grandi giare di terracotta sapientemente lavorate dagli artigiani di Grottaglie; contenitori che gelosamente custodiscono i riti e l’essenza di usanze, preservandole dall’oblio. Smaltati all’esterno e di capacità variabile (230-260 litri), i capasoni riportano sui fianchi fregi floreali, stemmi di casati nobiliari e, talvolta, vere e proprie odi al pensiero di un secolo (come accadde durante il ventennio fascista). Ma per comprendere appieno quanto il capasone sia ancora per la famiglia Pichierri un emblema del radicato senso di appartenenza alla terra natia, è sufficiente osservarlo nella sua “imponenza”. Esige il rispetto imposto dalla poderosa mole e dall’ingegnosa articolazione della propria struttura: ad una precisa distanza dal fondo, è collocato un piccolo foro che consente di spillare vino “limpido”, allontanando le fecce; il coperchio - un piatto di terracotta - era un tempo sigillato con un misto di paglia, calce e cenere, oggi sostituito da mastice enologico (inodore e insapore).

Che il capasone nasca con l’intento di accompagnare il vino nella sua evoluzione è un dato oramai confermato dalle numerose testimonianze, scritte o orali che siano, susseguitesi nel tempo. Risulta, invece, meno evidente quel suo saper essere una sorta di mediatore tra il frutto di uno specifico terroir e il vino, senza mai divenire l’attore principale del lungo cammino che conduce il “nettare di Bacco” alla propria “maturità”. Pare quasi volerlo preservare da talune sfumature olfattive spesso cedute dal legno, sembra voler far riecheggiare negli anni i segni distintivi di un vino “tipico”. Quella tipicità che significa appartenenza ad uno specifico ambiente pedoclimatico, ad un unicum - fatto di sole, umidità, temperature elevate e ridotta disponibilità idrica - sintetizzato in calici opulenti. Ogni sorso, dunque, svela la fedeltà a questo lembo d’Italia e richiama immediatamente alla memoria le immagini delle serre salentine, accarezzate dallo scirocco, e le tipiche terre rosse in contrasto con le tonalità azzurre del cielo. Caduti in disuso per la loro fragilità, i capasoni contribuiscono, invece, a rendere uniche e territoriali le migliori partite di Primitivo della vinicola Savese che, con passione e risolutezza, tiene fede alle proprie origini, e a quella “strana” alchimia che conferisce ai vini conservati in questi contenitori una longevità ancora ignota. Quando, in occasione dello spostamento della sede aziendale, furono ritrovate giare piene, si decise di suggellare quel “nettare senza tempo” in etichette che, a mo’ di libro, raccontassero l’evoluzione di un vino, figlio di due differenti annate (1984 e 1985) e di 7 diversi capasoni. Una dedica al Salento più autentico, una sorta di piacevole scherzo della Natura, generosa nel regalare un vino unico ed irripetibile.

Vinicola Savese - Vini Pichierri
S.S. 7 Ter km 27,790 
74028 Sava (TA)
Tel. 099 9726232 
www.vinipichierri.com
vinicolasavese@vinipichierri.com

 

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