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Il filo (d’olio) d’Arianna
Aperto da pochi mesi nel quartiere africano, questo nuovo ristorante è interamente dedicato all'extravergine di oliva abbinato, di volta in volta dalla Sommelier, ai piatti. Un'idea straordinaria.
Pubblicato il 01/02/2017
Anastasia Paris nella sua cucina con il finestrone sulla sala del ristorante.Ha aperto il cinque di ottobre il ristorante “Filodolio” in Via Tripolitania, nella zona “Africano” del Quartiere Trieste a Roma. Il locale è studiato nel dettaglio; cattura l’attenzione l’intensità della luce diffusa, né troppo né poco potente: una banalità forse, che però ben dispone a sedersi a mangiare.

Dalla cucina, a vista per chi si accomodi al piano inferiore, escono i piatti progettati dalla chef Anastasia Paris: quando esce a salutarci, la talentuosa ventiduenne ha molta cordialità ma poche parole; come a dire: «Non parlano abbastanza i miei piatti?». In effetti, i piatti hanno ben la loro da dire.

A modo d’amuse-bouche, il patron Stefano Donaudy Mastelloni ci serve due olî extravergine d’oliva su altrettante fette di pane: l’una semplice accoglie il fruttato leggero dell’“Antinoo” dell’Azienda di Tivoli “Lauri Gianluca Maria”, l’atra bruscata è il letto dell’Olio Novello della ragusana “Cutrera”; e intanto ci racconta la sua idea: aprire un ristorante interamente dedicato all’Olio, allo scopo di lasciar apparire l’Olio attraverso i piatti.

Ci affidiamo a due delle tre degustazioni che ci vengono proposte, attraverso le quali – come il filo d’Arianna attraverso i sentieri del Labirinto di Asterione in Creta – ci guida il filo d’olio degli abbinamenti proposti. All’inizio forse non sarà facile comunicare al grande pubblico romano l’idea dell’abbinamento cibo-olio a tavola, ma qui fanno affidamento sulla curiosità e la sorpresa della scoperta; come si dice: «Provare per credere!».
 
Il proprietario Stefano Donaudy Mastelloni in salaLa degustazione di carne ha la sua entrée in un sorprendente “Bacio di dama salato con guancia di manzo e scaglia di cioccolato bianco” praticamente perfetto; l’abbinamento è col celebre “Olivastro” di Quattrociocchi (Lazio, Itrana monocultivar): l’olio esalta l’equilibrio del piatto col suo giusto contrappunto amaro e piccante, e ne impreziosisce i toni di frutta a guscio con il finale di mandorla amara. Segue un main course formato di tre diversi assaggi. Si apre con una “Tartara di Fassone con maionese all’ostrica” abbinato al “Frà Evaristo” di Il Conventino (Marche, blend a predominanza Leccino e Raggiola): la dolcezza dei profumi fruttati e il finale di bocca piccante ma gentile accompagnano ottimamente l’elegante eccellenza della carne; segue del “Vitello con albicocca secca e spuma di pecorino” con di nuovo l’“Olivastro”, che contribuisce col suo verde di erba tagliata a conferire verticalità al piatto; si chiude con un emozionante “Paté di fegatelli con croccante ed alloro alla liquirizia” irrorato dal “Le selezioni” di Le Tre Colonne (Puglia, Coratina): i profumi di cardo e salvia e la bocca nettamente amara e piccante dell’olio disegnano col piatto un abbinamento da manuale.

Abbiamo provato anche la degustazione di verdure, con entrée raffinata ed eloquente di “Uovo lento in crosta di Parmigiano con spuma di cipolla rossa e alga ‘wakame’ ripassata”; in abbinamento abbiamo un filo di “Guadagnòlo dulcis” di Fattoria Ramerino (Toscana, blend): la frutta secca che caratterizza il naso di quest’olio sposa bene il piatto mentre bisogna dire che l’intensità di bocca in questa fase dell’anno non appare del tutto adeguata a quella del cibo, anche se l’insieme risulta sempre gradevolissimo e anzi invitante. Anche qui tre assaggi per il main course. Ben due si accompagnano al Leitmotif dell’“Olivastro” di Quattrociocchi: una “Sfoglia di macaron all’amaretto e zucca” e un delizioso ed equilibratissimo “Flan di castagne e crema di mandorle amare alla lavanda”; in entrambi i casi, sono il verdeggiare dell’olio e la sua mandorla in chiusura di bocca ad abbracciare singole caratteristiche rintracciate ad arte nei sapienti piatti della chef: ed è interessante ed utile provare i due abbinamenti l’uno al fianco dell’altro, in cerca della specificità dell’olio; chiudiamo questa degustazione con una “Tartelletta salata con crema di cavolo nero e stracciatella” abbinata al “D.O.P. Valli Trapanesi” di Titone (Sicilia, Nocellara del Belice con Cerasuola e Biancolilla): il sentore di pomodoro sostiene un buon piccante, mentre l’amaro in secondo piano lascia il giusto spazio alla verdura che stiamo mangiando.

Infine, ci godiamo il dessert: “Budino all’olio dello chef Filippo Artioli” con lo strepitoso “46°parallelo” di Frantoio di Riva, che non sappiamo esimerci dal domandare anche a parte in bicchierino e che troviamo in forma perfetta ancora in questa stagione.

Il ristorante è dotato di una buona carta dei vini: giustamente limitata (certo per non togliere scena agli altri protagonisti dell’offerta di menu), è però costruita ad ampio raggio e consente abbinamenti piú che soddisfacenti con tutti i piatti della proposta gastronomica; è stata curata da Augusta Boes, sommelier diplomata in Fondazione.

Tutto può, e deve, ancora crescere: ma speriamo che Roma si renda conto del bisogno che aveva di un’idea cosí.
 
 
FILODOLIO
Via Tripolitania, 147
00199 Roma
Tel. 06 86212938
info@filodolioroma.it
 
Immagini fornite dall’Ufficio Stampa di Filodolio
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