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La plenitude di un sogno
Pubblicato il 27/06/2014
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L’invito è di quelli che intrigherebbero anche un astemio: “Ci vediamo alle 19.30 all’Hotel Bulgari a Milano. Da li’, verrete trasportati in un luogo segreto per scoprire, in anteprima per l’Italia, Plenitude 2. Ma se poi si sa che Plenitude 2 è il nome del nuovo Champagne di Dom Perignon, quello, tanto per intenderci, che prenderà il posto di Oenotheque, la tentazione diviene veramente irresistibile. Alle 19.15, con qualche minuto di anticipo, sono dunque nella lounge esterna del giardino del Bulgari, orgoglioso di potermi qualificare come inviato di Bibenda. La location e l’atmosfera sono quelle che ti aspetti da una grande multinazionale come LVMH: lusso e un pizzico di glamour, organizzazione impeccabile, ed un po’ di fortuna: dopo il temporale che nella mattina ha colpito la città, il sole è tornato a splendere. Inizia l’aperitivo, con il quale - tanto per gradire - ci viene offerto Dom Perignon 2004. Non potevamo cominciare meglio: ovviamente giovanissimo e non ancora del tutto pronto, spicca per la mineralità dello Chardonnay, specie quando gli si da modo di riscaldarsi ed aprirsi nel bicchiere; a quel punto, esprime al naso una nettissima nota di zenzero candito, quasi dolce, che in bocca pero’ incontra una vivissima, quasi inaspettata freschezza che induce a previsioni molto ottimistiche circa la longevità di questo Champagne, e rende - tra l’altro - assolutamente non blasfemo il servizio come aperitivo. Finalmente, ci viene detto di recarci all’ingresso, ove veniamo prelevati da pulmini i cui autisti, peraltro molto divertiti, rifiutano categoricamente di dirci la nostra destinazione. I milanesi, mano a mano che ci allontaniamo dal centro, azzardano ipotesi su questo o su quel ristorante stellato, ma quando ci avventuriamo in piena periferia, oltre Piazzale Loreto, anche loro iniziano ad esitare. Inaspettatamente, la nostra vettura entra nel piazzale di quella che a tutti gli effetti sembra una fabbrica abbandonata: si tratta, in realtà, di Assab One, ex sede della Grafiche Editoriali Ambrosiane, ora adibita a galleria d’arte.

Qui ci viene svelato il progetto dietro al nome del nuovo, grande vino: uno Champagne, ci dice l’assistente dello chef de cave Richard Geoffroy, specie se si tratti di una cuvee prestige, ha una prima plenitude, un primo picco qualitativo, nel momento in cui viene messo in commercio. Ma dopo qualche anno, se lo si lascia riposare sui lieviti più a lungo, vive una seconda plenitude, e raggiunge un vertice qualitativo che lo rende veramente unico, complesso, più potente ma al tempo stesso maggiormente intrigante. Sarà svelato, nei prossimi mesi, un prodotto “assoluto”, il Plenitude Troisieme, con oltre venti anni di permanenza sui lieviti. A questo punto, veniamo introdotti all’interno del complesso, ove, nell’assoluta penombra, prendiamo posto attorno ad un grande tavolo imbandito. Un po’ perplessi, ci chiediamo se dovremo cenare al buio, quando all’improvviso sulle pareti e sullo stesso tavolo iniziano a dipanarsi immagini di torrenti ed impetuose cascate, ed una musica tra l’elettronica e la new age si diffonde. Inizia l’esperienza multisensoriale, curata dall’artista Marco Foltran e dallo chef Riccardo Del Pra. La cena è all’insegna dei quattro elementi, commentati dalle immagini di paesaggi islandesi (è in Islanda che questo champagne ha avuto la sua presentazione mondiale). Iniziamo con l’acqua, tartare di scampi con caviale serviti su una tela, proseguiamo con la terra (lumache su un tronco di carpine), poi col fuoco (trota marmorata al fuoco di Massam e nocciolo servita su lamina di noce) e finiamo con l’aria (sorbetto di Osmanthus e pesca bianca). L’esperienza è straordinaria, ma non riesce a soverchiare in alcun modo il vero protagonista della serata, il Plenitude Deuxieme 1998. Da un’annata difficile, calda ad agosto ma funestata da piogge subito prima della vendemmia, si esprime subito al naso con uno straordinario bouquet fumé, che richiama anche polvere di caffè e tè d’orzo, pepe, nocciola, poi scorza d’agrume candita, albicocca, pesca gialla. La freschezza e la complessità spiazzano completamente in bocca, ove l’attacco sapido rivela presto una freschezza che stupisce in un vino che ha pur sempre sedici anni, e che regalerà sicuramente emozioni per i prossimi venti. Almeno. Abbinamenti? Basti dire questo: non solo ha accompagnato splendidamente acqua, terra e fuoco, ma si è rivelato sublime persino con la dolce aria.

Dom Perignon fa milioni di bottiglie, ed appartiene ad una multinazionale. Ma bevendo uno champagne così, la contrapposizione tra “industriale” ed “artigianale” diviene del tutto inappropriata. È un grandissimo vino: basti questo.

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