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B come beverelli
Pubblicato il 30/11/2012
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A seconda delle località, nelle Marche sono noti come Buzzicco, Ciarimbolo o Ciambudèo, sostanzialmente analoghi, se non per minime varianti, al prodotto dell’Umbria, della Tuscia viterbese  e dell’alta Sabina Laziale fino all’Antrodocano, ove assumono il nome di Budellucci o Viarelli. Repertoriati da Corrado Barberis nel suo atlante dei Salumi italiani edito nel 2001 dall’Istituto Nazionale di Sociologia Rurale (INSOR), oggi inclusi nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani, i Beverelli sono un prodotto di norcineria a rischio estinzione, la cui sopravvivenza è ormai assicurata soltanto dai norcini superstiti che ne curano la preparazione, per lo più ad uso e consumo delle osterie locali, ove con esse e con le affini Coppiette si usa tradizionalmente stimolare la sete. Cambiano gli stili alimentari, ma resiste uno zoccolo duro di affezionati e di consumatori, sia pure occasionali. Salati, conciati e affumicati, i Beverelli si ricavano dalla parte interna dell’intestino del maiale, sia crasso che tenue. Viene utilizzato il suino locale, alimentato a secco con prevalenza di cereali. Entrambi i segmenti sono rivoltati come una calza, in modo tale da permettere un lavaggio accurato e la successiva separazione  dello strato cilindrico interno, fibroso e resistente, atto alla preparazione di salami, salsicce e altri insaccati. Restano sottili residui di tessuto addominale, di lunghezza variabile, al quale aderiscono grasso e linfonodi, che una volta mondati vengono insaporiti da sale, pepe e fiori di finocchio selvatico, indi appesi alcuni giorni a seccare presso il focolare e poi fino al momento del consumo in un ambiente asciutto ed areato, che rende superflua l’aggiunta di ogni conservante. In linea con gli usi tradizionali risalenti al Medioevo e addirittura ad epoca etrusco-romana, le norme prescrivono asciugatura a camino con impiego di legno di quercia, olivo e faggio, in deroga alla severa normativa vigente in materia di affumicatura. Ne risultano strisce di varia pezzatura, dai due ai tre etti, color paglierino tendente al bruno, visibilmente cosparsi di sale, pepe, peperoncino, semi e fiori essiccati di finocchio. La produzione è esclusivamente invernale. Appesi insieme al soffitto delle fraschette di Ariccia e di Albano, prendono il nome di “mazzi sfumati”. Mentre prodotti consimili ricavati dall’intestino crasso sono da consumare previa cottura, i più teneri Beverelli si possono mangiare tal quali, oppure passandoli brevemente sulla brace per poi inserirli ben caldi e gocciolanti fra due fette di pane casereccio, trasformato nell’ appetitoso “panunto” della tradizione campagnola. Frascati Superiore Complexus di Santa Benedetta dal solido e sapido nerbo, fragrante di frutti e di erbe grazie al significativo apporto di Bellone e Malvasia.

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