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Gin & Martini
Pubblicato il 23/05/2014
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In piena primavera nelle Piazze d’Italia si intensificano i cocktail pre cena. Ce n’è per tutti i gusti e tutti i palati, ma consentiteci di affermare che un cocktail senza Gin è come un quadro senza cornice, bello forse, ma incompleto. In un cocktail fatto come si deve il Gin è il cuore, il resto gli gira tutto attorno. Lo ha inventato un professore olandese dell’Università di Leida aromatizzando l’acquavite con bacche di ginepro, ma sono stati gli inglesi a renderlo celebre. Come spesso capita nelle questioni storiche legate ai superalcolici, per ovviare al pagamento di salatissimi dazi imposti dal luogotenente di Guglielmo d’Orange per ostacolare l’importazione di acquaviti estere nacque a metà ‘600 il dry Gin, detto anche London Gin, che è un’acquavite doppiamente distillata perché frutto della distillazione di alcol puro diluito con acqua, aggiunto di bacche di ginepro e vari profumi tra cui possono figurare finocchio, anice, mandorle amare, semi di coriandolo, radici di angelica ed altro, in base a ricette che ogni casa produttrice mantiene segretissime.

Non mancano anche in questo caso metodi alternativi come per il Gin Bombay, distillato in particolari alambicchi in cui vengono posti i profumi all’interno di ceste-contenitori da cui si estraggono gli aromi per mezzo dei vapori d’alcol. I migliori prodotti godono addirittura di quattro distillazioni. Grazie al suo colore bianco, al gusto secco dai ritorni penetranti ma fini, è una perfetta base per la realizzazione dei long drink, anche se nella sua terra d’elezione, l’Inghilterra, se ne fa largo uso anche bevuto liscio, in questo caso ne esiste una più rara versione invecchiata denominata Golden Gin o Yellow, che si arricchisce del passaggio in botti di rovere assumendo una colorazione giallo-ambra che lo fa assomigliare al cugino scozzese Whisky e spesso riporta in etichetta l’inconfondibile dicitura “Barrel aged Gin”. Sempre in tema di Gin bevuto all’inglese, esistono versioni ulteriormente aromatizzate, e ciò appare ovvio per via della splendida capacità del distillato di legarsi ad altre componenti, troviamo quindi il Gin aromatizzato al limone, all’arancia, al lime, al melone ed il tradizionale Sloe Gin, ottenuto dalla macerazione delle prugnole nell’acquavite.

Dopo questa breve panoramica sulla bevanda non fatevi quindi cogliere mai più impreparati dalla domanda del bartender di turno sulla scelta di quale Gin utilizzare per la preparazione del vostro prossimo Dry Martini Cocktail, che ricordiamo essere composto nella ricetta più tradizionale da 2 misurini e 1/2 di Gin (3 nel Classic Dry Martini detto anche Naked) e 1/2 misurino di Vermouth Dry, buccia di limone o di arancia e l’immancabile oliva verde, (2 nel Franklin, sostituite da cipolline nella variante Gibson).

Uscendo dai canoni potrete sbizzarrirvi con le numerose altre versioni del medesimo cocktail con base Gin: da quella super strong di Ernest Hemingway che sceglieva dalle 5 alle 9 parti di Gin a quelle con aggiunta di Sloe Gin (Smoky), Cointreau (White Lady e Opal Martini), Maraschino (Aviation), e via dicendo, evitando però di recitare la celebre frase di James Bond: “un Vodka Martini. Agitato, non mescolato”, altrimenti di Gin nel bicchiere non ve ne troverete neanche una goccia.

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