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C come canditi
Pubblicato il 29/03/2013
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La canditura permette di conservare diversi tipi di frutti trattandoli a più riprese con sciroppo di zucchero. Il termine viene dall'arabo qandat, a sua volta connesso al sanscrito khandakah (zucchero), riconducibile però anche al latino candeo, “imbiancare”, allusivo a quella fase di saturazione zuccherina nota in francese come “blanchissage”. Si utilizzano anche steli, radici o altre parti di vegetali, come i gambi di angelica o la radice di zenzero. I prodotti ottenuti mediante canditura si chiamano genericamente Canditi, utilizzati come decorazione e aromatizzazione in pasticceria, o da consumo diretto come dessert. Se la canditura era eseguita a regola d’arte, il frutto conservava gran parte della vitamina C antiscorbuto, il che spiega la concentrazione in località di mare delle antiche manifatture. L’arte, tramandata di padre in figlio nelle botteghe dei maîtres confiseurs di Francia e d’Italia, appare oggi in declino, mortificata da produzioni industriali a basso costo, che non solo sviliscono il gusto della materia prima, ma risultano sgradevolmente gommose per il massiccio uso di glucosio e cariche di additivi, in primis anidride solforosa e derivati (E220-E229), che impediscono rifermentazioni e ne preservano il colore. Tutt’altra cosa le produzioni sceltissime (e vastissime, dai chinotti ai fichi) di artigiani come Romanengo a Genova, con la sua straordinaria bottega d’epoca e Giuliani a Roma, rinomato per i classici marrons glacés con le violette candite. La laboriosa e paziente tecnica, di fatto un’osmosi, consiste nel sottrarre acqua ai tessuti vegetali del frutto rimpiazzandola con zucchero, in modo da assicurarne la conservazione per parecchi mesi mantenendola in luogo fresco e asciutto. Già i Romani trattavano con miele alcuni tipi di frutta a fini conservativi; con l’introduzione della canna da zucchero da parte degli Arabi nel XII-XIII in Sicilia si diffondono da noi i primi canditi, che utilizzano anche frutti o parti di frutta normalmente incommestibile, come la mela cotogna e le scorze di arancia o cedro. Nel 1555, nientemeno che Nostradamus (affascinato, evidentemente, dalla natura alchemica della procedura) redige un trattato “des confitures”, in cui insegna come trattare “petits limons et oranges… avec le sucre pour faire du cotignac, du pignolat, du sucre candi, des sirops, des poires confites et de la tarte de massapan ”. La Francia è ancor oggi leader mondiale, con 14.000 tonnellate prodotte annualmente (di cui 10.000 ciliegie), esportate in 60 paesi. Apt, cittadina provenzale del Luberon, già descritta da Madame de Sévigné come chaudron de confitures è considerata la capitale dei canditi.

Artigiani come Denis Ceccon (Le Coulon) e Marcel Richaud, entrambi sul Quai de la Liberté, non derogano dall’antica tradizione, che prevede innanzitutto la scelta di frutti selezionatissimi, maturi al punto giusto, ma non cedevoli e assolutamente privi di difetti e ammaccature. L’acqua, sottratta per osmosi alle cellule vegetali, è rimpiazzata con sciroppo di zucchero, preferibilmente di canna (l’industria utilizza zucchero invertito o destrosio, a motivo del basso peso molecolare che ne favorisce la penetrazione, assieme al sorbitolo anticristallizzante). Lo sciroppo, per penetrare, deve garantire una densità superiore ai succhi contenuti nelle cellule del frutto, oltre a una velocità superiore, per evitare deformazioni indotte dalla pressione osmotica. Durante la prima fase i frutti sostano vari giorni, anche due settimane per le pezzature più grandi, in recipienti di terracotta o inox atti a ricevere lo sciroppo. Dopo 20-24 ore, mantenendo al caldo i recipienti, inizia il processo osmotico, che per completarsi necessita però di reiterate immersioni in sciroppo di zucchero (detto giulebbe, parola di evidente derivazione araba) a densità crescente e possibilmente ben caldo, in modo da evitare proliferazione batterica e fermentazione. Lo sgocciolamento avviene su una griglia in luogo ventilato (l’industria velocizza con nastro trasportatore e tunnel di essiccazione), cui segue la glassatura finale che rende brillante e lucido il Candito. Dai residui di lavorazione si traggono anche interessanti prodotti, come i Berlingot, caramelle piramidali al gusto di agrumi o anice o la nostra Cedrata, rinfrescante bibita dei mesi estivi.

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