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Oscar Miglior Vino Rosato
Pubblicato il 08/04/2016
Fotografia

Lambrusco di Sorbara Rosé del Cristo 2011
Cavicchioli – Emilia Romagna

Il Lambrusco permane, nell’immaginario comune, vino estremamente piacevole da bere, rinfrescante in virtù della carbonica e non molto alcolico, a tavola compatibile con la maggior parte delle ricette tradizionali italiane, per di più prodotto su ampia scala, con conseguente vantaggioso rapporto qualità-prezzo. E tuttavia piuttosto rustico, in quanto pronipote dell’ancestrale vitis labrusca che prosperava spontanea nell’antica Enotria. Rompendo con tali, limitanti pregiudizi, Cavicchioli rappresenta, da poco meno di un secolo, un pezzo fondamentale della storia di questo vino, nobilitandolo, scommettendo sulle tipologie migliori come il Sorbara e aprendo la strada all’alta gamma e al cru. Il Cristo è appunto località-cru del comune viticolo di Sorbara, da sempre rinomata per un Lambrusco particolarmente fine, tradizionalmente limpido e piuttosto scarico di colore, ricco di suggestioni floreali e fruttate non disgiunte da raffinato tocco minerale. Il Rosé nasce nel 2005, da uve di Sorbara al 100% , ed è sottoposto a rifermentazione in bottiglia secondo i canoni del Metodo Classico, tipologia brut. Affascina di primo acchito il fine perlage che ne anima la veste salmone, preludio a inebriante e composito corredo olfattivo di gerani e roselline intrecciati a piccoli frutti rossi, more di gelso e granatina. A successive olfazioni affiorano sentori di macchia, di pasticceria alla frutta e lieve tostatura, bilanciati da più severa nuance minerale. Il palato è garbatamente secco, delicato e carezzevole, e replica con coerenza i sentori già percepiti al naso, sfumando sapido e rinfrescante su lunga eco di lamponi e fragoline di bosco. In tavola accompagna a perfezione i capisaldi tipici della gastronomia locale, dai salumi ai tortellini, dal bollito misto al cotechino con purea di patate o lenticchie. Al di fuori dei canonici abbinamenti regionali, svela insospettate affinità con salmone in crosta e perfino con pietanze orientali come un Nasi Goreng indonesiano.


Maremma Toscana Rosato 2014
Sassotondo - Toscana

Non un rosato da vigne giovani o immature, o taglio bianco-rosso, al contrario. La materia prima è la più nobile, quella del ciliegiolo, vitigno-bandiera aziendale, e in particolare dello storico cru San Lorenzo, prospiciente la spettacolare rupe tufacea di Pitigliano. Rosato da salasso, dunque. Ove le bucce sostano a contatto col mosto lo spazio di una notte, o poco più. Segue, perciò, i criteri di una vinificazione in bianco, riposando a bassa temperatura fino a tutto gennaio nella profonda cantina, scavata per trenta metri nel tufo. Del ciliegiolo è perciò il primo gradino, propedeutico al rosso d’annata e al possente San Lorenzo, vertice di gamma. Caldo e fresco al tempo stesso, grazie alle notevoli escursioni termiche di zona, che preservano l’acidità e favoriscono l’accumulo di precursori aromatici. Qui, infatti, le colline di Scansano si innalzano per oltre cinquecento metri a far barriera verso il litorale, mentre dal non lontano Amiata spira un freddo soffio notturno. Dal nord-est balcanico, inoltre, soffia il grecale, che asciuga l’umidità, limitando naturalmente le fitopatie. La sapidità è quella caratteristica dei suoli vulcanici ricchi di preziosi microelementi. Fresco di grotta su salumi e formaggi tipici, un poco più freddo su zuppe di pesce.

 

Cerasuolo d’Abruzzo 2014
Valentini – Abruzzo

Sui generis fin dalla veste venata di rame e d’arancio, non si dà con immediatezza, ma esige congrua e paziente ossigenazione, da ripetere magari a distanza di ventiquattr’ore. Al pari dello straordinario Trebbiano e del celebrato Montepulciano, un Cerasuolo che non somiglia a nessun altro se non a se stesso, anno dopo anno, perfetta incarnazione di quel credo da artigiani del vino che nella famiglia Valentini passa come un testimone da una generazione all’altra, dall’indimenticato Edoardo al figlio Francesco Paolo che ne continua fedelmente l’opera egregia. Nessun segreto particolare, se non un protocollo esecutivo rispettoso al massimo del terroir aprutino e della personalità dei vitigni: fermentazione spontanea operata da lieviti autoctoni senza controllo della temperatura, nessuna filtrazione né chiarifica, rinuncia consapevole a ogni pratica di arricchimento o di ritocco dell’acidità. Al pari di tanti rossi di spessore, affronta una lunga maturazione di 7-8 mesi  in botti tradizionali da 35 ettolitri. Il  risultato è un rosato possente e avvolgente, dal fascino profondo ancora parzialmente inespresso, ma vibrante ed emozionante, senza nessuna concessione a enfasi fruttate e compiacenti morbidezze che così di frequente connotano il Cerasuolo più commerciale. Fumé, erbe officinali, piccoli frutti selvatici, note balsamiche  e di sottobosco emergono a getto continuo dal calice, preludio a un palato che non rinuncia ai tannini, sviluppandosi su inesauribile vena acido-sapida. Sa fortemente d’Abruzzo, e si accorda perciò e nobilita ampio ventaglio di salumi, zuppe, primi rustici anche con funghi e pietanze marinare al pomodoro.
 


 

 

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