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Sapore di Vulcano
Pubblicato il 08/04/2016
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L’Aglianico, talvolta definito il Nebbiolo del sud, è un vitigno misterioso e affascinante, i cui albori si perdono nei millenni della storia. Il nome sembrerebbe evocarne le origini elleniche, da rinvenirsi forse tra i vitigni importati dai coloni fondatori della Magna Grecia nell’Italia meridionale, o potrebbe derivare dalla parola greca aglaòs, “splendido”, attributo facilmente assimilabile alla lucentezza rubiconda del suo succo.

La marcata tannicità e la spiccata acidità che contraddistinguono l’Aglianico non risultano propriamente consonanti con gli orientamenti gustativi attualmente dominanti, più inclini ad apprezzare morbidezza e speziatura che a ricercare potenza tannica e freschezza esplosiva. Tali aspetti – in primis la componente tannica – hanno indotto, talvolta, a portare le uve a sovramaturazione o a fare uso marcato del legno, al fine di attenuare astringenza e acidità e rendere il prodotto finale meno sbilanciato sulla durezza. D’altronde, sebbene l’Aglianico sia probabilmente tra i vitigni più resistenti all’invadenza del legno, l’eleganza e la delicatezza che ne contraddistinguono le migliori espressioni emergono in misura maggiore in quei prodotti per i quali più si è scelto - con metodi di vinificazione e affinamento che mantengano il giusto equilibrio tra rispetto della tipicità e pratiche di cantina - di valorizzare le peculiarità di un vitigno di grande complessità, ma dalle potenzialità qualitative indiscutibilmente elevate.

Al pari del Nebbiolo, l’Aglianico è caratterizzato da maturazione tardiva, con vendemmie che giungono fino a novembre, e marcata propensione all’invecchiamento, in misura ancora maggiore per le zone geografiche che danno vita alle sue espressioni più nobili, specificamente le DOCG Aglianico del Vulture e Taurasi. Piuttosto adattabile a diverse tipologie di terreno, l’Aglianico si esprime al meglio sui terreni vulcanici, che gli donano quell’attributo di spiccata mineralità tipico dei grandi rossi del Vulture e dell’Irpinia, alcuni dei quali frutto di viti a piede franco di oltre cent’anni, mai attaccate dalla fillossera e perciò antiche e pregiate.

Divenuta DOCG nel 2011, la denominazione “Aglianico del Vulture Superiore” comprende 15 comuni nella zona settentrionale della provincia di Potenza e il rispettivo disciplinare parla di Aglianico in purezza, con affinamento minimo di 12 mesi. Già cantato dal poeta romano Orazio, di origine venosina, l’Aglianico lucano era conosciuto e apprezzato sin dall’Ottocento, durante il Regno di Napoli prima e nell’Italia unita poi. Sebbene lo spopolamento delle campagne negli anni Cinquanta marcò una contrazione in termini di produzione e qualità del vino, a partire dagli anni Ottanta l’area del Vulture ha sperimentato una progressiva riqualificazione, nonché un ammodernamento delle zone vitate, sulla scia del costante lavoro di aziende antichissime: su tutte, i nomi di Paternoster e D’Angelo, entrambi portatori di esperienze di produzione che vantano oltre ottant’anni di storia. I terreni ai piedi del monte Vulture, vulcano spento il cui cratere ospita i suggestivi laghi di Monticchio, sono di matrice vulcanica e tufacea, e donano ai vini ivi prodotti sentori minerali e di erbe aromatiche, sommati a riconoscimenti più tipici del vitigno, come profumi animali e note di cuoio.

Le già citate realtà storiche di Paternoster e D’Angelo costituiscono i simboli dell’Aglianico del Vulture vinificato secondo tradizione, i cui prodotti di punta – rispettivamente il Don Anselmo e il Caselle Riserva – riassumono le potenzialità del territorio e le qualità del vitigno: grande struttura, potenza tannica e sorprendente freschezza, con note di spezie dolci e finale molto lungo. A dettare nuovi standard sulla tradizione emerge invece la dinamica realtà delle Cantine del Notaio, guidata da Gerardo Giuratrabocchetti, all’avanguardia tanto dal punto di vista della creatività enologica che da quello delle capacità imprenditoriali. Le diverse declinazioni di Aglianico con passaggio in barrique si affiancano ad altri vitigni bianchi, su cui svetta l’Autentica, un bianco dolce IGT da Moscato e Malvasia, con naso intenso e ricco – pasticceria, miele, datteri e nocciola i riconoscimenti principali – e bocca equilibrata e sapida, la cui lunga chiusura regge anche formaggi erborinati. Tra le eccellenze locali, rientra a pieni voti l’azienda Eubea, guidata da Francesco Sasso e dalla figlia Eugenia, quest’ultima concentrata su un rigoroso processo di ricerca della qualità. Frutto di vitigni di età compresa tra i 40 e i 70 anni, il Ròinos, prodotto di punta dell’azienda, regala di anno in anno un naso elegante di piccoli frutti rossi ed erbe aromatiche, minerali vulcanici e spezie; al palato è imponente, fresco e giustamente tannico, frutto del sapiente affinamento. Al pari dei vini suddetti, il Titolo di Elena Fucci, giovane produttrice di Barile, assurge all’olimpo dei migliori rossi dell’area, forse del meridione, al punto da divenire, con il suo Titolo, uno dei marchi di vino italiano più presente e apprezzato sui mercati internazionali. L’enologia illuminata di Elena ha regalato al Titolo un’impronta moderna ed elegante: il risultato è un vino sempre ad altissimi livelli, buono da bere subito ma con ottime prospettive di invecchiamento. Non si possono, infine, non citare altre realtà che contribuiscono a dare lustro alla qualità del vino regionale. Eleano, azienda alla costante ricerca della qualità e dell’espressione del territorio, con una gamma di prodotti di livello indubbiamente elevato. Basilisco, realtà produttrice di vini con marcata personalità e di indubbia eccellenza. Musto Carmelitano, azienda tanto giovane quanto capace di declinare con grande personalità ed elevati standard qualitativi il prodotto di un patrimonio di vigne invidiabili. Infine, Re Manfredi, di proprietà del Gruppo Italiano Vini, coniuga tradizione e innovazione, ed ha massima espressione nel Serpara, dall’omonimo vigneto nella zona di Maschito: grande ventaglio olfattivo, eleganza ed equilibrio in bocca, con finale che si fa ricordare per lungo tempo.

Queste e altre aziende contribuiscono da anni a sostenere l’immagine vinicola locale, troppo spesso adombrata dai giganti regionali limitrofi – la Campania e la Puglia – che “comprimono” la piccola Basilicata con la varietà e il numero dei loro prodotti, pur se di qualità eccellente. Ciò nonostante, le grandi potenzialità territoriali e la persistente ricerca di livelli qualitativi elevati condotta dai più rappresentativi produttori del Vulture costituiscono, ormai da diversi anni, i fattori propulsivi di una realtà in forte ascesa nel panorama nazionale, conferendo a un vitigno di interpretazione indiscutibilmente complessa una spiccata e inconfondibile tipicità.

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