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La leggenda del trasgressore
Pubblicato il 05/04/2013
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Una strana Pasqua questa a Roma, piovosa e uggiosa, senza un orizzonte politico definito: più semplicemente, senza un orizzonte certo. In questa obnubilata atmosfera è scomparso Franco Califano che, sebbene nato su un volo diretto a Tripoli e cresciuto nelle periferie napoletane, di Roma è divenuto un interprete autentico e trasgressivo.

Di se stesso amava dire “non ho religione, non ho famiglia, a volte non ho nemmeno pensieri; sono cresciuto prendendo calci e cercando di restituirli quand’era possibile”. In quest’analisi scanzonata sembra di poter riconoscere uno dei tratti della romanità del secondo ’900: la capacità di trasformare l’istinto di sopravvivenza del giovane di borgata in creatività multiforme e generosa. In effetti, Califano è stato attore, cantautore, ma soprattutto autore di testi e di poesie di grande bellezza e di autentica profondità, al punto che è stato definito il Pasolini della canzone, il Prévert di Trastevere. Ha affidato il ritratto di sé a “Tutto il resto è noia” e si era cucito addosso lo stereotipo del seduttore, che amava però più le canzoni che le donne: un po’ limitante questo modello, per una figura che al contrario piace istintivamente perché istintivamente vi si coglie la capacità di sfuggire a ogni cliché, di saper essere trasgressivi; se per trasgressione si intende lo stile di vita di personaggi che eludono la banalità delle regole, perché interpretano l’esistenza in modo graffiante e autoironico.

“La musica è finita” così per un uomo dalla personalità ricca di fascino e di arroganza, che ha vissuto coerentemente il successo e l’oblio e, fino all’ultimo, tutto quello che la vita poteva dargli. “Mi sentirò vecchio solo cinque minuti prima di morire”: un insegnamento importante, un invito a mantenere viva e tangibile la freschezza adolescenziale delle nostre emozioni, che appartengono alla persona, non all’età anagrafica. “Ingannai il dolore con del vino rosso e multai il mio cuore per qualunque eccesso”. Allora proprio con un calice di vino rosso brindiamo a te, Franco. Magari con un multiforme Valpolicella Superiore Monte Lodoletta di Romano Dal Forno: un vino grandioso e quasi esagerato, come sei stato tu, ma capace di conquistarci e di raggiungere il profondo del nostro cuore.

Ciao Califfo, da oggi ci sentiamo tutti un po’ più soli.

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