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Acquisizioni e fondi
Cresce l’interesse per il vino italiano
Pubblicato il 11/04/2023
Il mondo del vino italiano è in pieno fermento, cantine e vigneti attraggono sempre di più fondi di investimento e finanza. L’operazione che ha fatto più scalpore negli ultimi anni è stata l’acquisizione di Biondi Santi, storica cantina simbolo di Montalcino, da parte dei francesi di Epi, il polo del lusso della famiglia Descours, quelle più recenti sono state invece, solo lo scorso ottobre, due perle abruzzesi: la storica cantina Zaccagnini e Tenuta Ulisse. La prima è passata alla holding Argea, che fa capo al fondo Clessidra, la seconda al fondo White Bridge Investement. Le cifre che i rumors danno per queste operazioni sono importanti. Dai 110 milioni di euro per la nobile Biondi Santi fino ai 60 per Zaccagnini e 40 per Tenuta Ulisse.

Dunque, il vino italiano piace e non più solo per i sentori e le suggestioni che scaturiscono dal calice. Il vigneto Italia sta vivendo un momento di grande interesse da parte della finanza che, fino a soli dieci anni fa, privilegiava fare shopping nel settore della moda o dell’industria alimentare, fiore all’occhiello del made in Italy.

Per spiegare questo crescente interesse per il vino italiano, bisogna riflettere su alcuni aspetti. Il comparto vitivinicolo tricolore è cresciuto in qualità: lo confermano le cifre del nostro export che nel 2022 ha raggiunto i 7,1 miliardi di euro, pesando per lo 0,4% sul nostro Pil.

Non solo. È diventato un settore resiliente. Dopo la pandemia, periodo durante il quale è riuscito a tenere nonostante il blocco totale dell’Ho.Re.Ca., è ripartito con slancio nel 2021, con progressi in doppia cifra per chiudere il 2022 con un export in crescita dell’11% circa.

Dunque, se nei periodi di crisi i grandi rendimenti sfumano rapidamente, la priorità diventa quella di salvare almeno il capitale investito. E il vino eccelle nella bassa volatilità. Inoltre l’Italia ha un enorme potenziale ancora inespresso. Questo perchè spesso le cantine mancano di managerialità.

C’è da aggiungere che il comparto ha un margine di crescita del valore che in altri settori non trova lo stesso riscontro. È un settore stabile, capace di generare ritorni sull’investimento, oltre ad essere ancora a buon mercato, con aziende dal grande potenziale a prezzi ragionevoli. Si può affermare che il vino italiano oggi è stato finalmente scoperto e per questo gli investitori vanno a caccia di grandi e piccoli gioielli.

Sì, perchè ad entrare nel mirino di banche e fondi istituzionali ed esteri, non sono più solo le grandi cantine, ma anche produttori di nicchia che fanno buoni numeri, hanno un solido export e soprattutto sanno fare qualità.

Spesso, però, per espandere ulteriormente il proprio business, è necesaria una maggiore liquidità.

È il caso di Cantine Zaccagnini. Il fondatore Marcello inizia la sua avventura nel 1976. Aveva 20 anni, non una lira per realizzare il sogno di portare di nuovo in produzione un piccolo vigneto del nonno. Lavora per molti anni come operaio per comperare gli attrezzi utili alla vigna e mantenere contemporaneamente la famiglia. Oggi l’azienda ha 150 dipendenti ed esporta in 45 paesi, 300 ettari vitati e produce un milione e mezzo di bottiglie.

Per me la cantina è come un figlio - racconta Marcello - da solo sono arrivato fino a questo punto. Per crescere ancora servivano altri forti investimenti, ormai ho una certa età e non me la sono sentita. Quando è arrivata la proposta del fondo Argea, creato apposta dal gruppo Clessidra, per occuparsi di cantine e sviluppo in campo enologico, ho riflettuto e sofferto per un anno, poi ho detto sì”.

Zaccagnini ha poi ricomprato il 20% delle quote aziendali e la proprietà dei vigneti.

Tra le cause che portano un’azienda vitivinicola a decidere di vendere anche traumatici cambi generazionali, che espongono la proprietà ad accettare proposte molto convincenti da parte di investitori anche estranei al mondo del vino, che vedono la potenzialità di buoni ritorni economici. Il principale riferimento per la successione in un’azienda è, naturalmente, la famiglia. Ma talvolta dissidi interni o divergenze sul futuro dell’azienda stessa impediscono una successione all’interno dello stesso gruppo familiare.

Quali i rischi di un’operazione in cui entrano nuovi titolari che non hanno un legame profondo col territorio e con l’azienda?

Nessuno – spiega Zaccagnini – nel mio caso la scelta è caduta su un gruppo che mette in primo piano il mantenimento della tradizione. Se non fosse stato così, non avrei accettato. Con l’ingresso di Argea tutto è finalizzato al miglioramento, dalla vigna alla bottiglia”.

In realtà, i rischi ci sono. Per primo quello di uno stravolgimento nella filosofia produttiva aziendale. Quindi se da un lato l’ingresso di forze nuove è un valido supporto perché arrivano capitali freschi per crescere, dall’altro è fondamentale che gli obiettivi siano chiari dall’inizio: il rispetto del territorio per non disperdere gli stili produttivi che hanno fatto crescere in questi ultimi dieci anni il vino italiano nel mondo.
 
Il vigneto Italia interessa sempre di più fondi e banche che vogliono investire in un settore che dà buoni ritorni economici. Recentemente si sta realizzando un nuovo modello di investimento nel comparto vitivinicolo italiano. È quello della partnership: quando due o più aziende già presenti sul mercato, si mettono insieme per investire in nuove aree, diverse dalla loro zona originaria di produzione”.

Ci spiega questo nuovo panorama, Marco Giuri, fondatore dello studio Giuri, esperto di diritto vitivinicolo che segue nelle compravendite e acquisizioni le aziende del settore. “Per fare un esempio, se desidero affacciarmi nella zona delle Langhe per produrre Barolo (sempre che si trovi qualche vigneto in vendita), ma da solo non ce la faccio, mi metto insieme ad un altro produttore e scalo qualche piccola azienda che ha bisogno di aumentare la propria forza. Certamente il modello in partnership presenta dei rischi. Non sempre si va d’accordo”.

Come mai l’Italia è diventato un obiettivo primario per questo tipo di investimento che fino a solo una decina di anni fa non era considerato interessante?

L’Italia ha una legislazione fiscale che favorisce le attività in campo agricolo ed è un grande appiglio per i vantaggi che ne scaturiscono. E ora, oltre alle zone nobili quali Langhe, Brunello, Bolgheri, Chianti Classico, Amarone, Prosecco, fanno gola anche altre aree. Al momento è l’areale dell’Etna ad essere molto ricercato per la qualità dei suoi vitigni autoctoni. Il suo vino si è fatto apprezzare in Europa e nel mondo e ora molti continuano ad investire sul vulcano”.

Rimangono però gli ostacoli della burocrazia italiana, tra questi le difficoltà per i nuovi impianti di vigneti e i limiti nella produzione che non consentono di superare il 50% della produttività dell’azienda agricola, se non aprendo una nuova società che, però, non usufruirebbe dei vantaggi fiscali.

Dunque, un mondo in divenire tra luci ed ombre per un mercato che guarda sempre alla qualità, ma anche al ritorno di investimenti economicamente importanti.
 
Acquisizioni e fondi di Floriana Bertelli
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