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Autocritica per critici (enogastronomici)
Pubblicato il 14/09/2012
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Ha ancora senso il ruolo del critico (eno) gastronomico? A leggere tripadvisor.com sembrerebbe di no. Su quel sito migliaia di viaggiatori, clienti più o meno saltuari di ristoranti di ogni tipo rilasciano commenti lapidari. “Fa schifo” oppure “è il paradiso” sono le opinioni più morigerate. Non è dato conoscere il livello del “critico” (è un cuoco? Un sommelier? Un gourmet?) ma di sicuro le opinioni della comunità web, pur senza avere il prestigio della guida Michelin, pesano in termini di orientamento dei potenziali clienti e i ristoratori le seguono, a volte con ansia, più di quanto danno a vedere.

Dare voce ai clienti è un grande impulso democratico. Permettere opinioni anonime, forse, un po’ meno. In più, la lettura delle opinioni è statisticamente attendibile solo a partire da un numero sufficientemente alto di segnalazioni. Se un locale ha ricevuto solo due critiche, entrambe negative e anonime, non può essere bollato come indegno di una visita. O no?

Ma allora, se chiunque può esprimere un parere, il Critico - cioè: l’Esperto - chi è? Siamo tutti critici nell’era di internet? Chissà, potrebbe essere uno delle innumerevoli settori che la tecnologia digitale ha contribuito a rivoluzionare. Quanto agli esperti, veri o presunti, hanno qualcosa da rimproverarsi?

Secondo me il ruolo del mediatore culturale non è logoro. Ha ancora senso che alcuni specialisti si assumano la responsabilità e il peso di esprimere il proprio giudizio e divulgare le proprie impressioni, ma le condizioni con cui devono confrontare la propria deontologia oggi sono più severe.

Vi presento il mio piccolo e umile decalogo (che poi è un “ottalogo”), sperando di suscitare le riflessioni del lettore.

Credibilità. Il lettore è sveglio, se scrivi corbellerie con la rete ti smaschera in cinque secondi.

Consapevolezza. Tieni presente che l’esperienza sensoriale è unica nel tempo e nel luogo.

Saper divulgare. Se non ritieni di saper scrivere o dire, meglio lasciare l’assaggio alla sfera intima e personale.

Rispetto. Parlare del lavoro altrui implica il rispetto (non la condiscendenza, però).

Coraggio. Le opinioni sono sempre discutibili. Mettici la faccia e scrivi sempre ciò in cui credi.

Modestia. Mettiti in discussione, non stancarti di imparare. Troppi credono di sapere tutto.

Discrezione. Non c’è bisogno di sbandierare referenze. Meglio un profilo basso: resta un “cliente qualsiasi”.

Indipendenza. Rispondi ai tuoi sensi e alla tua etica prima che al tuo (languido) conto in banca.

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