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23 maggio 1992, il metanolo della società civile
Pubblicato il 25/05/2012
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Ci sono fatti che, più di altri, segnano la nostra vita lasciandoci segni indelebili nel profondo dell’anima.

La prima, istintiva sensazione che provai il 23 maggio 1992, quando si stava diffondendo la notizia dell’“attentatuni” di Capaci, fu di subire uno sfregio al cuore e di percepire che la società civile avesse avviato un processo di definitiva implosione su se stessa, inesorabilmente inghiottita dal buco nero della sopraffazione, del malaffare, della corruzione e della violenza. Non si trattava dell’ennesimo atto efferato di un manipolo esseri che l’amore verso il mondo animale impedisce di definire bestie feroci, e la morte di Giovanni Falcone non era una morte come le altre. A posteriori, quel 23 maggio costituiva una sorta di 11 settembre ante litteram. Falcone e il pool non erano solo dei magistrati operosi, ma erano una vera e propria icona della giustizia: costituivano le Torri Gemelle della gente perbene, il simbolo del coraggio e della dedizione totale e incondizionata allo Stato, inteso nella sua accezione più completa: popolo, territorio e sistema delle leggi.

Capaci, e poco dopo via D’Amelio, sono stati schiaffi troppo forti perché si potesse continuare a porgere inermi l’altra guancia. Troppo spesso tralasciamo di ricordare che il maggior tributo di sangue nella lotta alla mafia è stato versato da Siciliani. Siciliani violentati, vilipesi e trucidati per mano di altri siciliani. La riscossa della Sicilia è partita proprio dalla presa di coscienza della straordinaria anima forte e orgogliosa dei Siciliani liberi, eredi di un secolare patrimonio di storia, di cultura, arte, letteratura, che non potevano ulteriormente delegare alla malavita mafiosa il ruolo di principale testimonial e custode di una terra che la natura ha forgiato rendendola bellissima e affascinante come nessun altro luogo al mondo.

Queste riflessioni generano maggiore emozione se fatte di fronte a un bicchiere di vino siciliano prodotto da terre che dal ‘92 in poi sono state confiscate alle famiglie mafiose. Centopassi, Aurora, e altre realtà produttive sono sorte o stanno sorgendo dalle ceneri della devastazione mafiosa, rivalutando territori strappati al feudalesimo opprimente della cupola e dei suoi cancerogeni gangli.

Il vino siciliano, sino a vent’anni fa prevalentemente grossolano e arcaico, è oggi un testimone espressivo della sicilianità più vera, finalmente uscita allo scoperto e orgogliosa di essere un esempio di stile, di raffinatezza, di civiltà.

Nel 1985 in Piemonte lo scandalo del metanolo fu la scintilla che diede vita al processo di rinascita dell’Italia enoica: le stragi del ’92 sono state il metanolo della società civile siciliana.

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