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Verso l’essenza del vino
Un viaggio alla ricerca dei diversi aspetti della percezione.
Pubblicato il 05/07/2018
Un viaggio verso l’essenza del vinoIn quanti modi si può intendere una azione, un discorso, una situazione? Quanti punti di vista e interpretazioni si possono creare?
I significati, gli intendimenti che si possono attribuire sono moltissimi, ciascuno dei quali in grado di svelare un diverso valore e di arricchire o impoverire la nostra esperienza.
Ma per fare questo dobbiamo essere in grado di vedere, di percepire le prospettive, di cogliere le interpretazioni. Avere la capacità di tenere desta l’attenzione, di chiedersi che cosa abbiamo davanti, senza cedere alle lusinghe di una comoda, singola, sperimentata esegesi della realtà.
Proviamo a determinare dei punti, dei passaggi fondamentali attraverso i quali acquisire una differente prospettiva. Quello che cerchiamo è un nuovo percorso, la definizione di una intuizione e l’acquisizione di una consapevolezza.
Tutto questo con un unico obiettivo quello di riuscire a cogliere anche solo per un momento la sfuggevole essenza del vino.
Iniziamo dal principio, iniziamo dalla terra. Le origini, la composizione del territorio, gli strati che si susseguono in centinaia di milioni di anni. Pensiamo alla sequenza delle ere, agli spostamenti tettonici, all’invasione e al ritrarsi del mare e dei ghiacciai.
Deviamo dal percorso della geologia e tentiamo di intuire una sorta di disegno, quasi che l’evoluzione stessa di un pianeta, che sembra mutare come muta un essere nel corso della sua vita, sia stata definita per ottenere dei luoghi ove la vite potesse vivere, svilupparsi e produrre i suoi frutti. Interpretiamo il tempo come un attore che sembra essersi mosso per determinare un unicum, per definire delle identità irripetibili che altro non sono che i suoli.
I suoli conservano la memoria di ciò che stato molto prima di noi, non sono materia inerte, non sono una semplice base dove erigere costruzioni, ma sono l’archivio e l’identità del passato. Se perdiamo un suolo perdiamo una identità, una conoscenza, una memoria di quello che è stato e di quello che avrebbe potuto essere. La vite dunque può acquisire, fare proprie le storie degli sconvolgimenti geologici e delle creature che questi sconvolgimenti hanno subito.
E da qui potremmo spostarci alla storia dell’uomo a evidenziare come le grandi civiltà del passato si siano sviluppate nei luoghi dove sembrava esserci una maggiore vocazione al vino. Quasi che non potesse esserci storia e conquista senza vitis vinifera.
La vite diviene quindi come una persona, una individualità ben precisa di cui bisogna accogliere le esigenze e le necessità. Erede e custode delle storie della terra e degli uomini. Non uno strumento da sfruttare, ma un’essenza a cui chiedere collaborazione e a cui concedere la pazienza di anni di attesa.
E non può essere diversamente per il frutto più nobile della vite, il vino. Questo incarna una nuova esistenza definita non solo dai caratteri del suolo o dalla qualità stessa degli acini, ma anche dalle aspettative del vinificatore, le sue idee, quanto ha assorbito dal territorio, la memoria del suolo che si ritrova nelle mani e nei pensieri. La stessa atmosfera dell’azienda e della cantina influisce sul risultato, evidenziando quanto il vino non possa essere ridotto ad un meccanismo, ad una serie di sequenze da cui ottenere sempre il medesimo risultato, ma come sia una interazione tra principi la cui definizione non è mai netta, il cui valore va continuamente fatto proprio ed interpretato. L’osservazione, la misurazione, le aspettative e il desiderio condizionano il risultato.
Arrivati a questo punto possiamo determinare il percorso, l’intuizione e la consapevolezza citati all’inizio.
Il percorso parte dalle origini della terra e passa per l’identità dei suoli che trasmettono il loro essere alla vite. Questa cresce secondo le caratteristiche ereditate e le esperienze vissute durante il suo tempo, come un essere umano ha una linfa che scorre e che determina la vitalità del suo corpo. Poi c’è il vino espressione di tutto questo, sintesi e creazione di nuove identità, prole certamente della vite, ma anche discendente dell’uomo. E questa è la tappa finale del percorso. Solo gli uomini realmente appassionati possono essere il termine perfetto di questo sentiero, l’ultimo anello per ottenere il nettare che proviene da così lontano e che porta così lontano.
L’intuizione è il ruolo del vino come connessione, come legame dell’uomo con la terra del passato e del presente, con il suolo su cui da sempre poggiamo i piedi. Ma anche legame con il cielo, con l’alterità, con quanto millenni di filosofia, religione e misticismo tentano di avvicinare. Perché ci invita alla riflessione e perché, nelle corrette dosi, ci permette di espandere i confini e di passare dalla determinatezza delle nostre concezioni all’indeterminatezza di nuove forme di conoscenza.
Per terminare il quadro manca solo la consapevolezza acquisita. Vedendo e assaporando un calice di vino è possibile avvertire i sentimenti e i valori di cui è custode, si possono intuire le emozioni di terre diverse e persone differenti. E tutto questo può essere tradotto in narrazioni, racconti che possano coinvolgere gli altri, che donino la possibilità di soffermarsi per qualche minuto a riflettere, a prendersi un poco di tempo per vedere e ascoltare e possibilmente comprendere.
Essere consapevoli per narrare. Narrare per rendere evidente il tesoro di conoscenza che ogni buon vino custodisce. E questo in ultima sintesi è il lavoro del Sommelier.
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