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F come Fettuccine Alfredo
Pubblicato il 06/05/2016
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Per tanti americani in visita è bizzarro dover constatare che nelle abitudini alimentari del nostro paese non c’è traccia delle mitiche Fettuccine Alfredo così popolari oltreoceano. I nostri ristoratori, d’altra parte, specialmente dalla Padania in su, già spiazzati dalla storpiatura in “Fettuccini”, non si preoccupano troppo di approfondire, convinti che Alfredo sia personaggio inventato, chissà se reminiscenza verdiana dell’”Amami, Alfredo” dalla Traviata, oppure della commedia all’italiana di Pietro Germi, che volle Dustin Hoffman protagonista del suo “Alfredo, Alfredo”. Un bel quiproquo; per dirla con Vasco Rossi, tutta colpa di Alfredo, a torto o a ragione eponimo di un piatto che da noi si chiama semplicemente Fettuccine al doppio burro Giova, però ristabilire la verità storica, al di là delle lenti deformanti di ogni visione “turistica”. Non solo Alfredo è veramente esistito, ma brilla come stella di prima grandezza nel panorama storico della ristorazione capitolina, nonché pioniere assoluto del gusto made in Italy in tempi non sospetti. Alfredo Di Lelio (questo il nome completo) viene al mondo nel cuore della Roma trasteverina, in Vicolo di Santa Maria, nel settembre del 1883, stesso anno di nascita di Benito Mussolini. La Roma del papa-re contava appena 300.000 abitanti, tuttavia in vertiginosa crescita. Grazie anche all’afflusso di un esercito di deputati, burocrati, dirigenti e notabili dislocati nei gangli vitali della nuova Capitale del Regno sabaudo. Gente di grande appetito, sia in senso metaforico che letterale, inclini cioè ai piaceri della buona tavola borghese . Quasi di fronte a Montecitorio, nel luogo ora occupato dalla Galleria Sordi-ex Colonna, c’era, all’epoca, un piccolo slargo denominato Piazza Rosa, dove la Sora Angelina, mamma di Alfredo, aveva aperto una trattoria. Il giovane Di Lelio si distingue fin da ragazzo per talento e savoir-faire, attirando con modi impeccabili e cordiali una crescente clientela di riguardo. Il 1908 è per il nostro un anno doppiamente fausto, poiché nasce suo figlio Armando, e nasce il piatto che gli darà gloria imperitura, di relativa semplicità, e tuttavia nutriente e appetitoso: una bionda matassa di tagliatelle, o, come si dice a Roma, di Fettuccine tirate sottili, condite con abbondantissimo burro e una pioggia di parmigiano grattato di fresco, che opportunamente mantecati con l’acqua di cottura diventano crema. Piatto, si dice, nato quasi per caso, amorosamente creato a beneficio della moglie Ines debilitata e inappetente. E lei gradì talmente che quel piatto ipercalorico venne replicato con successo per gli avventori, fino a divenire specialità celeberrima del locale. Anche perché Alfredo, personaggio caratteristico, con tanto di baffi alla Umberto, ci metteva del suo, rendendo spettacolare il rito della mantecatura finale delle “sue” Fettuccine, officiato dinanzi ai clienti con ossequiosa e meticolosa sollecitudine, tavolo per tavolo. “Fettuccine Alfredo”, si chiamò infatti il piatto, e non “alla” Alfredo, quasi a sottolineare l’indissolubile legame tra la ricetta e il suo creatore-esecutore, così come proponevano i futuristi, fieri avversari di congiunzioni e sintassi, e in verità poco propensi alla pastasciutta “passatista, che appesantisce e lega coi suoi grovigli”. Tra i frequentatori più affezionati, non mancavano diverse personalità del teatro e dello spettacolo, tra cui il grande Ettore Petrolini. Non erano, comunque, tempi facili. Nel 1914, il primo della Grande Guerra, a causa dei lavori per la costruzione della Galleria Colonna, Alfredo Di Lelio è costretto a chiudere i battenti della vecchia trattoria e a trasferirsi in Via della Scrofa. Dalla sede storica di Via della Scrofa, la fama delle Fettuccine Alfredo giunge all’orecchio dei divi Mary Pickford e Douglas Fairbanks, che a coronamento del loro viaggio di nozze romano, si recano in pellegrinaggio da Alfredo, e ne restano deliziati. Chiedono della ricetta, diventandone primi ambasciatori tra i VIP hollywoodiani, e in segno di gratitudine regalano ad Alfredo una forchetta e un cucchiaio d’oro dedicati a “The King of the Noodles”.  Una bella investitura,  per Di Lelio. Che rimarrà nel suo locale fino al 1943, anno funesto delle bombe su Roma. Nulla sembra più come prima, e perfino Alfredo sembra voler tirare i remi in barca, cedendo la gestione a terzi. I quali, sfruttando la fama pregressa del locale, si guardano bene dal cambiare insegna. E infatti il locale è ancora lì, meta di gourmet che da ogni parte del mondo vengono per le celebri Fettuccine. Passato il periodo sabbatico, Di Lelio torna nuovamente in lizza con l’aiuto del figlio Armando, trasferendosi poco distante, in un magniloquente edificio tutto in travertino tra Via del Corso e Piazza Augusto Imperatore, dotato di ampio parcheggio ove le vetture diplomatiche e di lusso potevano stazionare senza problemi. Il nuovo locale viene chiamato “Il Vero Alfredo”, o anche “Alfredo all’Augusteo”. Siamo all’inizio degli anni cinquanta, Cinecittà esplode con le produzioni americane, da Quo Vadis a Ben Hur, Via Margutta e Piazza di Spagna brulicano di artisti, i paparazzi presidiano Via Veneto e dintorni: dimenticata la guerra, Roma si dà alla Dolce Vita, e Alfredo, una volta di più, ne è splendido protagonista. Da Brigitte Bardot ai fratelli Kennedy e dalla coppia Gregory Peck -Audrey Hepburn, che qui festeggiarono la fine delle riprese del film-cult Vacanze Romane, fino a Jimi Hendrix (capitato nel 1968, data del suo unico concerto romano), è impressionante l’albo d’oro delle personalità transitate nel suo locale, immortalate in una serie di foto appese alle pareti. Lo scrittore Paolo Monelli, autore del “Ghiottone errante” (1943), non nomina esplicitamente Di Lelio, ma ne delinea un ritratto alquanto corrosivo, corredato da un disegno dell’illustratore Novello che ritrae il nostro nell’atto solenne di mantecare le famose Fettuccine.  “Compare il trattore, baffi e pancetta da domatore, impugnando una posata d’oro: e si avvicina al piatto delle fettuccine. La musica tace, dopo un rullio ammonitore che ha fatto tacere anche i clienti in giro…”A distanza di quasi mezzo secolo dall’ascesa di Alfredo nel Paradiso dei ristoratori, il suo spirito sembra aleggiare ancora, sia nel locale di Via della Scrofa che in quello dell’Augusteo, mete incessanti di gourmet giunti da ogni parte del mondo per assaggiare le famose Fettuccine. Pur non potendo brevettare una ricetta appartenente di diritto al corpus delle ricette tradizionali italiane, i responsabili di entrambi i locali si sono premurati di blindare il nome del fondatore che, considerandone la  rinomanza internazionale, equivale a un brand d’impresa di notevole rilevanza economica. I nipoti di Alfredo, Ines e Alfredo (Junior) di Lelio, hanno ottenuto l’inserimento dell’impresa ristorativa di famiglia (tutelata dal marchio “Il Vero Alfredo – Alfredo di Roma”) nell’Albo dei “Negozi Storici di Eccellenza – sezione Attività Storiche di Eccellenza” del Comune di Roma Capitale. Gli attuali proprietari di Alfredo alla Scrofa, dal canto loro, rivendicano anch’essi la paternità del piatto, legato al marchio internazionale «Alfredo’s Gallery», registrato in diversi Paesi, dal Brasile alla Russia, Emirati Arabi compresi (nel Kuwait è già operativo un locale affiliato). Entrambi, comunque, risultano concordi nel ribadire la loro estraneità sia a brand omofoni sparsi in tutto il mondo, come l’Alfredo’s del Rockfeller Center newyorchese, sia alle mille versioni travisate della ricetta originale, comprendenti un po’ di tutto, dalla panna e noce moscata ai gamberi lessati. Incredibile, ma vero, negli Stati Uniti si produce perfino una “Alfredo’s sauce” da noi del tutto sconosciuta,  a base di panna, uova e formaggio.

Abbiamo provato le Fettuccine Alfredo con il redivivo Fiorano prodotto nell’omonima tenuta sull’Appia Antica, bianco di spiccato carattere da uve Grechetto e Viognier, che col piatto mostra spiccatissime affinità, se non altro perché entrambi romanissimi, ed entrambi legati da un sottile fil rouge al capoluogo emiliano: bolognesi sono le ascendenze principesche e papali dei Boncompagni Ludovisi che producono il vino, bolognese è il leggendario mastro Zefirano, cuoco personale dei Bentivoglio, al quale è attribuita (1487) l’invenzione delle Tagliatelle- Fettuccine, piatto celebrativo del matrimonio di Annibale II con Lucrezia, figlia naturale di Ercole I d'Este, duca di Ferrara.
 

 

 


 

 

 

                                              

 

 

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