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Sicilitudine
Pubblicato il 01/04/2016
Fotografia

Hierà, il sipario sulla sicilitudine. Salina, Eolie. Casa Hauner e il teatro nel teatro. È questo il ricordo di una visita avvenuta la scorsa primavera. Ospitalità, bellezza e grande signorilità scandiscono il tempo. Sul filo dorato della Malvasia delle Lipari, nella leggendaria cantina di Carlo Hauner Jr., mi aggiro tra pareti color ocra, azulejos, squarci di picassismo pittorico, oggetti rurali e di design, dediche autografe di Veronelli. È qui che mi imbatto, quasi per caso, nel rosso Hierà, annata 2009. L’etichetta ritrae la lava del vulcano disegnata da Carlo Hauner Senior, pittore, designer e poi fondatore della celebre cantina. Sull’etichetta, una lacrima di fuoco si apre sulla grigia roccia lavica e svela un cuore sanguinante. Quell’immagine diviene il sipario che si solleva mostrando un’isola, Vulcano, simbolo estremo di sicilitudine, quell’identità tutta isolana descritta da Leonardo Sciascia. Aspra, dura, estrema. Ma anche affascinante e accogliente. Un luogo spirituale, letterario, cinematografico. Ambiguo e ricco di contrasti, come il Caos primigenio che alterna morte e rinascita, senza soluzione di continuità. Vi albergano luci e ombre, raziocinio e poesia onirica, miti, paure e speranze. E allora inizia la mia ricerca sul difficile rapporto tra l’isola e i suoi abitanti. La simbologia di un viaggio. Nella mitologia classica Vulcano (Hierà per i Greci) era la porta degli inferi e luogo sacro ad Efesto. Da allora gli uomini sprofondavano nelle sue viscere alla ricerca dello zolfo. Sulle sue sponde venivano portate le salme dirette verso il regno di Ade, confortate dagli ultimi addii dei loro familiari. La presenza dei vivi è lotta per la sopravvivenza. Un mucchietto di case scalcinate e bianche come ossa hanno resistito per secoli ai terremoti e alle eruzioni. E poi capre e asini. Difficile immaginare l’agricoltura in questa landa di cenere e fumo. Solo l’acqua piovana raccolta nelle cisterne garantiva la sopravvivenza dei suoi abitanti. Nell’Ottocento lo scozzese James Stevenson, che gestiva le zolfatare dell’Isola, sfidò le avversità naturali ed impiantò i primi vigneti. Poco si sa di quei vini. L’eruzione del 3 agosto 1888 distrusse le vigne e costrinse Stevenson e la moglie ad abbandonare definitivamente l’isola. Vulcano diviene ancora una volta il simbolo della rinascita culturale siciliana nel dopoguerra. Un luogo pionieristico. La Panaria Film del Principe Francesco Alliata viene fondata nel 1949. È la casa di produzione cinematografica tutta siciliana, che con orgoglio ritrae la propria terra, la capacità di sopravvivenza delle donne e degli uomini che la abitano. Vulcano diviene un set cinematografico: le miniere di zolfo, le tonnare, i cacciatori sottomarini. Per la prima volta si inaugura la cinematografia subacquea. Pochi soldi, tanta passione. I siciliani riprendono la “mattanza”, ma anche le immersioni nei fondali, luoghi paurosi e inesplorati. Arrivano infine le riprese del film “Vulcano”, interpretato da Anna Magnani in un momento tra i più devastanti della sua vita sentimentale: la separazione da Rossellini. La “scena della Chiesa” è l’apice del dramma umano, dove il reale si fonde con la teatralità: metafora della disperazione e della solitudine, canto e disincanto, ma anche riscatto e forza di sopravvivenza. Il richiamo di quell’Isola, tra le più estreme, culla di una visionarietà poetica, non poteva lasciare indifferente un artista inquieto come Carlo Hauner. Bresciano, di origini boeme, figlio d’arte, fu esponente originale dell’espressionismo anarchico e dell’arte informale. Sul finir degli anni Sessanta abbandona le gallerie d’arte, le Biennali e i musei metropolitani per affrontare una ricerca tutta intimista nel cuore della viticoltura eoliana. La sua è lucidità di visione e di sintesi, alla ricerca spasmodica della rappresentazione della Vita, lontano dalle gabbie di una rigida forma raziocinante e alienante. Hierà sembra l’opera d’arte più sofferta, destinata a racchiudere con delicatezza una forza vitale prorompente e selvaggia. Inaspettata, come ogni rinascita. I suoli ricchi di zolfo e ceneri, le altitudini, la macerazione sulle bucce, un delicato affinamento in legno custodiscono e valorizzano la vitalità del frutto. Il blend di alicante, nocera e calabrese svela una sostanza succosa e complessa, mai banale né scontata. I lampi color rubino, che sfumano verso il granato, sprigionano un ventaglio ampio di sentori di carruba, cenere e macchia mediterranea. Le bacche selvatiche e l’ibiscus ingentiliscono lo sfondo scuro di terra bruciata, pietra e spezie indiane. La bocca è fresca, gioiosa, vibrante. La scia minerale, sottile e cangiante nel passaggio, lascia impresso un immaginario polimorfico dominato da percezioni contrastanti e forze contrapposte. Un vino da rinascita, vitale, come l’Isola che lo genera.

 

Carlo Hauner Azienda Agricola
Via Umberto I, località Lingua
98050 S. Marina di Salina
Isole Eolie - Messina
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