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Fratello vino
Pubblicato il 19/02/2016
Fotografia

“Il vino è il canto della terra verso il cielo”. La massima di Luigi Veronelli, gastronomo, enologo, ma soprattutto  ineguagliato cantore del vino, esprime da sola la torsione estetica (e quella spirituale) che il vino è capace di generare. Legioni di pittori, scrittori e poeti hanno esercitato  la loro arte su questo registro. Come se la rappresentazione di quella, che solo apparentemente è una spremuta d’uva, richiamasse una per una tutte le innumerevoli implicazioni artistiche di cui il vino è ispiratore. È come se il vino fosse all’origine della cosmogonia umana, e quindi indissolubilmente legato  all’idea stessa di religione, di sicuro quella cristiana, che non a caso ha generato la metafora perfetta del vino come sangue di Cristo.
Una premessa necessaria per introdurre il tema dei grandi pittori rinascimentali. Il corpo a corpo con le loro tele ricorda quello di un agricoltore in vigna. Arte, sacro e mito sono allo stesso tempo l’origine e la conseguenza una dell’altra. Impossibile separarle, un po’ come i tralci che si arricciano sul fil di ferro fino a mimetizzarsi e confondersi come se fossero originati dalla stessa sostanza. Il vino è fisica e metafisica allo tesso tempo.  Altrimenti non avrebbe ispirato artisti come Lorenzo Lotto, Tiziano, Guido Reni e Annibale Carracci. Le forme, i colori, ma anche le parole violente che sembrano voler placare l’arsura perenne della condizione umana. Arthur Rimbaud ne era ossessionato: “Un tempo, se ricordo bene, la mia vita era un banchetto in cui tutti i cuori si aprivano, in cui tutti i vini scorrevano”. Si può giocare all’infinito con i rimandi. Banchetto e vino ci riportano alle nozze di Cana, la più magnetica allegoria del cristianesimo. Una coppia, uno sposalizio, il vino finisce nel bel mezzo dei festeggiamenti e la Madonna chiede a Gesù di manifestarsi trasformando l’acqua in vino. Una parabola che  propone una santissima trinità inedita: la Madonna, Gesù Cristo e il vino.   Quest’ultimo come collante e dono, manifestazione del divino e contemporaneamente viatico benaugurante. Senza vino non c’è gioia, non c’è unione, non c’è festa, non c’è amore, non c’è dono. Può una sostanza generare così innumerevoli rimandi ai significati più profondi dell’esistenza umana? Probabilmente, no. Ecco perché la metafora di Veronelli è semplice come un francescano e potente come un comandamento. Fratello vino, sorella vigna.   

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