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Rossi del Vesuvio
Pubblicato il 05/02/2016
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Il pomodoro è il re della tavola campana, l'ingrediente immancabile di ogni ricetta, il cuore della tradizione locale e il fulcro attorno al quale ruota l'economia della regione. Con il pomodoro schiacciato (“schiattato”) sul pane si fa merenda da generazioni, sulla pizza sono ideali i pelati, per la caprese va a fette spesse, col ragù via libera alla passata; tante sono le varietà di questo nobile frutto, introdotto in Europa nel 1540 dal sanguinario conquistador Hernan Cortés, che hanno trovato terreno fertile ed estremamente vocato nella regione italiana che -per prima- ne cominciò l'utilizzo in cucina, come ci ricorda il grande Antonio Latini, cuoco della seconda metà del Seicento, nella sua opera “Lo scalco alla moderna, o vero l'arte di ben disporre i conviti”, in cui troviamo la prima ricetta codificata per una salsa a base di pomodoro, definita “alla spagnuola”:

Piglierai una mezza dozzena di Pomodoro, che sieno mature; le porrai sopra le brage, a brustolare, e dopo che saranno abbruscate, gli leverai la scorza diligentemente, e le triterai minutamente con il Coltello, e v’aggiungerai Cipolle tritate minute, a discrezione, Peparolo pure tritato minuto, Serpollo o Piperna in poca quantità, e mescolando ogni cosa insieme, l’accomoderai con un po’ di sale, Oglio, e Aceto, che sarà una Salsa molto gustosa, per bollito, o per altro.

Di tutti i pomodori che in Campania vengon quindi coltivati da mezzo millennio, il Vesuviano ha caratteristiche uniche, tanto da renderlo un prodotto non solo autoctono ma anche non obiquitario e cioè assolutamente riconoscibile e classificabile come eccellenza specifica del genius loci, figlio di quello che noi eno-appassionati chiameremmo terroir.

Questo delicatissimo frutto cresce infatti solo in alta quota, tanto da esser definito “di montagna”, e solo sui terreni scuri e sabbiosi formati dalla stratificazione secolare delle colate laviche del Vesuvio; qui viene raccolto a maturazione fra Luglio e Agosto e, una volta riunito in grappoli, lasciato penzolare all'aria aperta o in appositi locali a temperatura ed umidità controllate, creando così i famosi “piennoli” (pendoli) che danno origine alla Dop del Pomodorino del Piennolo del Vesuvio.

Tradizione vuole che in questo modo i pomodori “col pizzo”, così chiamati per via della marcata punta che hanno all'estremità opposta al picciolo, si conservino anche per molti mesi, asciugandosi lentamente fino a concentrare sempre di più zuccheri, polifenoli e sapore, con la conseguente esplosione di gusto che si può avvertire nell'impiegarli per la “pummarola” atta a condire pasta, pizza, piatti di pesce e carne.

Spiccata è infatti la loro acidità, che si attenua e si addolcisce col tempo, caratteristica che rende questi pomodori perfetti anche per preparare conserve al naturale con cui superare l'inverno: il Vesuviano è, invero, essenzialmente un pomodoro “di sussistenza”, coltivato quasi esclusivamente per il consumo familiare, viste anche le non poche difficoltà di produzione, ed è per questo che è una rarità a trovarsi fuori dei confini campani, con costi elevati per chi ne ricerca un grappolo ma con una bassa redditività per l'agricoltore.

Non resta dunque che armarsi di pazienza e ricercare queste gemme della nostra gastronomia, perché come scriveva Neruda...


[...]il pomodoro,
astro della terra,
stella
ricorrente
e feconda,
ci mostra
le sue circonvoluzioni,
i suoi canali,
l'insigne pienezza
e l'abbondanza
senza ossa,
senza corazza,
senza squame né spine,
ci offre
il dono
del suo colore focoso
e la totalità della sua freschezza.
(dall'“Ode al pomodoro”)


E noi, da semplici uomini, non possiamo far altro che goderne.

 

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