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F come friarielli
Pubblicato il 15/01/2016
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Cime di rapa, obietterà qualcuno. Non scherziamo. Nonostante l’umiltà e l’ascendenza schiettamente popolare di questa pietanza, i Friarielli sono Friarielli e basta, e rappresentano per i napoletani un’icona intoccabile, persino più della pizza o del babà. I veri Friarielli si mangiano entro e non oltre il perimetro storico della città partenopea, con l’unica eccezione di Ischia, ove costituiscono un vero e proprio caposaldo della gastronomia locale. Il che è senz’altro vero, per almeno due motivi fondamentali. Innanzitutto, se le cime di rapa (nome ufficiale brassica rapa, sub specie sylvestris, varietà esculenta) si ritrovano identiche anche in regioni come il Lazio, ove si chiamano genericamente broccoletti, o la Puglia, (qui a complemento irrinunciabile delle famose orecchiette), solamente a Napoli il “verdummaro” si adopera con perizia speciale a selezionarne le infiorescenze più delicate, scartandone la parte più coriacea del gambo, le foglie più dure, macchiate o ingiallite e i capolini gialli troppo aperti, secondo usi tradizionali tramandati da secoli, quando con pazienza e fatica il popolino " mangiafoglie " aveva sistemato Posillipo e il Vomero a terrazzamenti orticoli dai quali ricavava una parte fondamentale del proprio sostentamento. La peculiare tenerezza dei Friarielli, che presentano stelo sottile e non fibroso simile ad un asparago, si deve inoltre ad altri due fattori: la semina a spaglio, che esclude il trapianto e il terreno prospiciente il mare di origine vulcanica, ricco di oligoelementi, che poi si ritrovano nell’alimento. Il tenore in calcio dei Friarielli (260 mg per 100 g) supera quello del latte, e altrettanto rilevante è il contenuto in potassio, ferro, fosforo, magnesio, manganese, zinco e iodio.Si chiamano Friarielli (da " frjere ", friggere) perché il modo migliore di prepararli è di lavarli in acqua abbondante, e senza farli troppo sgocciolare trasferirli immediatamente in una padella con extravergine ove sfrigolano aglio e peperoncino piccante. Far appassire a fuoco moderato, incoperchiando il recipiente e rimescolando di tanto di tanto con cucchiaio di legno per assicurare uniformità di cottura, da mantenere rigorosamente al dente. Il secondo motivo per cui è indiscutibile la napoletanità dei Friarielli è la loro collocazione di assoluto rilievo all’interno della gastronomia partenopea: con le salsicce di maiale innanzitutto, ma anche con la pizza o con la scamorza alla brace.

È sempre preferibile adoperare per le salsicce (eccellenti quelle di suino nero casertano) un recipiente a parte, facendole rosolare a fuoco vivo. Cinque minuti prima di terminare la cottura, unirle infine ai Friarielli servendo ben caldo. Il Panuozzo Salsicce e Friarielli è indubbiamente uno tra i  più popolari street food partenopei, solitamente accompagnato da un calice di spumeggiante e piacevolmente rustico Gragnano. “I Friarielli senza salsicce- ha scritto argutamente un blogger napoletano-  sono come Stanlio senza Ollio, don Chisciotte senza Sancho Panza o Gargantua senza Pantagruel”. Attenzione però a non confondere i Friarielli con i quasi omofoni friarelli(solo due “i”!), o friggitelli in italiano, che sono invece dei peperoncini verdi allungati, non piccanti e gradevolmente amarognoli, piuttosto comuni in Campania e regioni limitrofe, anch’essi da friggere tradizionalmente in padella con aglio e peperoncino a piacere, probabilmente originari della Spagna, ove infatti esiste analoga specialità galiziana, i Pimientos de Padron, preparata allo stesso modo. Curioso a dirsi, ma nella stessa Campania sussiste ambiguità, e quando al ristorante si chiedono i Friarielli-cime di rapa è bene essere chiari e precisi, per non correre il rischio di vedersi servire piuttosto una porzione di sia pur ottimi e gustosi ” puparulilli friarelli” (o peperoncini dolci fritti), che si preparano spesso con le patate, e fanno parte della gran dovizia di contorni vegetali caratterizzante la gastronomia campana. Il vero, unico Friariello ci tiene, snobisticamente, a distinguersi. “L’arte del Friariello- è stato scritto- fa parte dell’inconscio collettivo dei napoletani (un inconscio regionale, o forse ancor più ristretto: comunale.) Non ci sarebbe da stupirsi se un giorno venisse scoperto nel DNA dei napoletani il gene del Friariello”. 

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