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Il Ramie e la riscossa del “vino di montagna”
Pubblicato il 30/10/2015
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Se si dimentica il mare, è l’antologia di quasi tutti i paesaggi possibili: il rincorrersi di vette, l’insinuarsi del sole tra le valli ed i poggi che, tra piane e spartiacque, salgono indurendo il loro profilo pietroso. D’inverno, il panorama offre squarci fiabeschi, vestendosi di quella candida coltre nevosa che crea un binomio naturale, singolare ed inscindibile con le montagne. Un’oasi di serenità, dove il silenzio è raramente interrotto dall’eco del fondovalle e dalla operosa routine della Val Chisone.

È un angolo di Piemonte inedito, che si estende da Pinerolo sino alle Cozie, accogliendo il visitatore con squarci incontaminati e - a tratti - selvaggi, con il pullulare di piccoli borghi dalla percettibile influenza occitana, e con i profumi di una cultura enogastronomica di confine. Una corona di paesi scolpiti nella pietra e di alture, infatti, è custode di quell’avvicendarsi di dominazioni che hanno visto nel “vino di montagna” l’espressione profonda e autentica di un terroir unico. E così il Ramie, quel nettare dei declivi avversi, si fa ambasciatore del profondo rapporto con la vita alpestre: letteralmente “catasta di legno”, indica, dunque, la consuetudine dei viticoltori di accumulare i rami durante il disboscamento. Prassi lontane, come del resto remote sono le origini del Ramie, risalenti al XIV secolo, quando i vigneti dei Conti di Castellanie di Perosa e Val San Martino popolavano i versanti (esposti a Sud) dei terrazzamenti posti a 1300 metri. Clima avverso, altitudini impensabili alle quali si associa l’immagine della viticoltura eroica: pendenze estreme dove la vite cerca affannosamente appiglio, allevata a vinnho baso o a tòppio, nel tentativo di riprodursi per propaggine, lasciandosi curvare - da mani aduse - i rami per farne uscire l’estremità dal terreno.

Simbolo di resistenza delle vigne e dei vigneron costretti ad arare periodicamente il terreno, il Ramie narra l’anima di quest’angolo di Piemonte a chiunque abbia la sensibilità di ascoltarla: restio a primo acchito, si “concede” secondo i tempi scanditi dai ritmi della terra di appartenenza, rivelando tenui sentori di frutta rossa e sottobosco. Immediato e asciutto all’assaggio, è intimamente percorso da una netta vena di acidità che tradisce l’appartenenza a quella Valle remota, solitaria, della quale sembra ereditare l’attraente austerità. Le linee perfette delle vette, infatti, delineano il confine tra il verde dei boschi e la profondità del cielo; un confine che, nelle giornate più uggiose, fa capolino tra le nuvole, rincorrendole. Bere un calice di questo “vino di montagna” è, pertanto, un piacevole perdersi tra i filari dei vitigni autoctoni di cui è composto: Avanà (rustico, dai grappoli allungati e di colore blu intenso), Avarengo (molto vigoroso e zuccherino, ma poco produttivo), Neretto (vigoroso e ricco di estratto e colore).

Figlio di vigneti radicati a suoli sassosi e frammentati nella proprietà, il Ramie è oggi tutelato da una Doc (istituita nel 1996) e dal costante lavoro del Consorzio di Produttori delle Terre del Ramie (costituitosi nel 2010) che mira a preservare i valori di cui il vino è intriso: la cultura occitana, la purezza dei paesaggi punteggiati dagli chabòt, tipiche strutture adibite alla vinificazione che riassumono l’antico legame con la natura, trasudano della tenacia di cru “strappati” alla montagna e del passato sofferto.

Consorzio Produttori Terre del Ramie
Piazza Libertà, 1
10063 Pomaretto (TO)
Tel.349 6178306

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