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Blasoni, finalmente vi assaggio
Pubblicato il 03/07/2015
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Dopo qualche mese di “rodaggio” in un’ enoteca wine bar di Soho decido di alzare la posta e cambiare dimensione. Questa nuova avventura si chiama Greenhouse, ristorante con due stelle Michelin a Mayfair, Londra. Lo chef è francese e sebbene io preferisca l’olio extravergine di oliva al burro, trovo che la sua cucina sia affascinante e innovativa nonché luogo di incontro per innumerevoli colori e profumi. Diverse sono le spezie utilizzate nei piatti e tantissimi sono i carismatici connubi che escono da quella cucina. Per la prima volta il mio naso incontra i profumi del Kafa lime e dello yuzu, della verbena, dell’hojiso e del nasturzio. E poi ci sono le spezie che mi fanno sognare luoghi lontani, mentre la freschezza e l’aromaticità dei germogli e della frutta esotica mi portano al mare…

Tuttavia non sono i piatti il motivo per cui mi trovo al Greenhouse, ma la cantina con 3.600 etichette e mi sento come “Alice nel Paese delle Meraviglie”. Per quanto riguarda la sezione Italia spero di apportare al più presto, al di là di qualche eccezione, il mio contributo, ma se “vado” in Francia c’è tutto quello che ho sempre desiderato assaggiare. Il primo vino capace di farmi davvero realizzare che qualcuno queste bottiglie le apre è un Richebourg 1993, Domaine de la Romanée-Conti. Ero emozionata e decisamente influenzata dall’etichetta, ma a me è sembrato in ogni caso strepitoso! Incredibilmente luminoso e trasparente, sembra il rubino “in persona” avvolto da un’unghia granato arancio. Il naso è contemporaneamente austero e fresco, caratterizzato da frutti rossi selvatici, in particolare lampone e mirtillo rosso, violette appassite e foglie secche, arancia rossa, tè nero, cuoio e grafite. All’assaggio, mi ha colpito per la croccantezza e la fragranza della frutta rossa e dell’aromaticità del tè. Straordinariamente fresco e Sapido con la esse maiuscola. I tannini vellutati mi accarezzano il palato e rimango in estasi per la succosità del sorso. La mineralità agrumata ed ematica mi accompagna a lungo lasciandomi con l’inappagata voglia di quel bicchiere pieno che non potevo avere. Richebourg è stato il primo e volutamente l’ultimo assaggio di quella serata di lavoro, davvero impegnativa; tuttavia, considerando che ero al ristorante da meno di una settimana. Meglio di così non poteva andare così io e il mio palato siamo tornati a casa con un bel sorriso stampato.

Dopo qualche giorno ho il piacere di incontrare Château Haut-Brion 1985 vestito di bianco, blend di Semillon e Sauvignon Blanc. Il suo colore è oro verde e il blasone accanto a me ha esattamente la mia età, 30 anni. All’olfatto è decisamente etereo e si presenta con evidenti note evolutive e smaltate, seguono miele, agrumi canditi, erbe aromatiche, fiori gialli e frutta secca. In bocca è cremoso e rotondo, tornano miele, frutta secca tostata, agrumi canditi e pan brioche. Manca leggermente in freschezza, ma una decisa componente sapido-minerale riporta il vino in equilibrio. Giovanissimo e pieno di energia è invece Château Lafite Rothschild, 1995. Due mondi olfattivi caratterizzano il naso, da una parte la frutta e in particolare prugna matura e mirtilli, dall’altra tonalità più scure e speziate come tabacco, humus, liquirizia e chiodi di garofano. In bocca è succoso e polposo, pieno ed esplosivo. Fresco e sapido, molto persistente e con un tannino da vero fuoriclasse. Presente e avvolgente allo stesso tempo. Nobilissimo. Vino di raffinata eleganza e suppongo che questa sia il simbolo della maison a prescindere dall’annata, salvo che l’andamento climatico non sia proprio disastroso. Gli ultimi due blasoni assaggiati sono Château Cheval Blanc 1982 e un vino che arriva da lontano, Grange 1982 di Penfolds. Il primo, dopo 12 ore dall’apertura della bottiglia, mi colpisce per l’intensità aromatica delle note vegetali improntate sulla foglia di pomodoro e sul peperone arrosto nonché per la profondità delle spezie e per la netta presenza di incenso, scatola da sigari, tabacco conciato e cuoio. Bocca in linea con il naso, con un carnoso e morbido tannino da prevalenza Merlot che riempie il palato. Decisamente più sapido che fresco e sicuramente un vino maturo. Dopo qualche ora però lo Cheval Blanc cambia completamente volto, virando dal granato al marrone e da abbastanza limpido diventa opaco e torbido. Anche i profumi mutano, sono di fronte ad un’ossidazione piena, tutto crolla e il vino di qualche ora prima svanisce improvvisamente lasciandomi incredula forse perché questa è la prima volta che assisto ad un fenomeno simile. Grange 1982 è, al contrario, in forma perfetta e il colore rubino-granato lo conferma. Trovo ancora la frutta con una ciliegia sotto spirito e cioccolato fondente che fanno da protagonisti, assumendo le vesti del Mon Chéri, il quale lascia tuttavia spazio a evidenti note balsamiche di eucalipto e macchia mediterranea nonché a una forte tostatura di caffè, vaniglia e ancora cacao. All’esame gustativo domina la frutta, una decisa balsamicità e un cacao cremoso, perfettamente bilanciato dalla mineralità ferrosa di Barossa Valley e dalla sapienza dell’allora enologo Max Schubert. Dopo 33 anni questo vino è ancora terribilmente elegante e sontuoso con un grado alcolico pari al 13%. Per il momento, oltre a ringraziare infinitamente queste grandi maison per i gioielli da loro prodotti, rimango con le dita incrociate nell’attesa di assaggiare al più presto La Tâche che è in cima alla vetta dei miei desideri.

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