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Barbara, flying wine maker
Pubblicato il 01/05/2015
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Abbiamo raccolto alcuni pensieri dell’enologa Barbara Tamburini, al termine della degustazione “Le eccellenze di Barbara Tamburini” che si è svolta lunedì 27 aprile presso l’Hotel Rome Cavalieri nella sede della Fondazione Italiana Sommelier.

Come ci si afferma in questo mondo pressoché maschile dell’enologia?
Beh, questo ancora non lo so, la mia è una storia semplice. Sono nata nel Pistoiese nella bassa montagna toscana dove i castagni sono il leitmotiv del paesaggio, ma di vite pressoché non vi è traccia. La mia scelta di intraprendere uno studio universitario che mi permettesse di stare a contatto con la natura e con le persone è quindi stata influenzata solo dalla mia passione. Ho studiato Agraria a Pisa con orientamento Viticoltura ed Enologia, e ho potuto imparare in vigna già nel 1996 presso la Tenute di Capezzana a Carmignano, ancor prima di conseguire la laurea.

Da ciò che dice sembra che ci fosse già un piano ben delineato nel suo destino, non crede?
Sì è innegabile, l’ultimo tirocinio svolto nel 1999 nell’azienda Gualdo del Re e la collaborazione cominciata subito dopo la laurea con la stessa mi è servita da trampolino di lancio e credo abbia dato un buon abbrivo alla realtà suveretana. Dopo un inizio di carriera scoppiettante è cominciata la collaborazione con altre aziende toscane e nel 2001 ha preso piede il sodalizio lavorativo con Vittorio Fiore, enologo espertissimo, con cui tuttora seguo alcune aziende. Lavorare al fianco di uno dei miei maestri di università mi ha portata all’inizio del nuovo Millennio in California dove ho allargato le mie vedute, ed oggi dopo quindici anni dalla laurea sono consulente di una ventina di aziende selezionate, la maggior parte delle quali in Toscana, (Gualdo del Re, Tringali Casanova, Colline San Biagio, La Corsa, per citarne alcune), una parte in Umbria (Goretti, Fattoria Le Mura Saracene) e Triacca: una chicca in Valtellina.

Come si “crea” un vino?
Molto semplice, la mia filosofia produttiva è basata sui territori e sui vitigni, questi sono gli elementi alla base della mia attività professionale; in ogni occasione cerco di far emergere le caratteristiche di un territorio in cui il vino nasce, e sono convinta che la firma dell’enologo debba emerge solo dopo tutto ciò. Il mio compito è quello di curare al massimo il dettaglio, dalla vigna alla bottiglia, proprio perché un grande vino nasce dall’unione di tutti questi momenti messi insieme. L’eleganza, la finezza e la pulizia sono una linea comune che cerco di mantenere nei vini che realizzo.

Come appare oggi il vino italiano? Gode di buona salute?
Dopo gli ultimi quattro anni non proprio brillanti, il mondo del vino sta dando segnali positivi: il mercato è ripartito, c’è grande attrazione soprattutto da parte dei mercati esteri, ci sono richieste, si imbottiglia, questo semplicemente perché il vino italiano è cultura, è storia e richiama l’arte, ma ciò non basta, i produttori dovrebbero sviluppare di più la propria immagine e la comunicazione. Banalmente in molte aziende forti di un prodotto valido, manca una figura professionale che sappia comunicare in lingua inglese.

Il sogno nel cassetto?
Rispondo senza esitazione, creare la mia azienda vinicola e un vino straordinario!

Un’anticipazione?
Da una donna enologo c’è sempre da aspettarsi grandi novità, come dicono i miei amici statunitensi “stay tuned”.

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