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Il Pane di Altamura
Pubblicato il 06/02/2015
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È come la madeleine di Marcel Proust quel profumo di pane che permea i vicoli del centro di Altamura. Quel profumo di “buono” che riaccende il ricordo della merenda pomeridiana o del momento della ricreazione, quando, al suono della campanella, ci si abbandonava alle lusinghe di quelle fette ancora calde, gustate da sole o con ricco companatico. Abitudini scandite non già dalla monotonia dei distributori di preconfezionati, ma dai tempi di lavorazione di un “alimento” capace di sintetizzare, tanto negli ingredienti quanto nella tipica forma, la quintessenza di un popolo e di una storia. Già nel 37 a. C., infatti, Orazio rimase affascinato dalla fragranza di ciò che egli stesso ebbe modo di definire il “migliore pane del mondo”; un pane che ha saputo attraversare i secoli, resistendo alle sfide poste dalla moderna panificazione e meritando il riconoscimento della Dop. Un pane che, con la stessa veemenza di allora, sembra voler oggi preservare il suo trascorso - quel suo essere ambasciatore di un territorio - in uno scrigno fatto di rituali minuziosi, materie prime di provenienza locale e profonda dedizione.

Acqua, lievito madre e semola rimacinata dei grani di varietà Appulo, Arcangelo, Duilio, Simito: questi gli ingredienti che, già da soli, riescono a tracciare i contorni di un’immagine emblematica della Puglia, di quel Granaio di Italia che ha saputo, con garbo ed ingegno, addomesticare il Triticum durum. Solo rimacinandone la semola, infatti, si ottiene uno sfarinato idoneo alla preparazione di un impasto che darà vita a fragranti pagnotte. Già nella sfera dell’inverosimile rientra la trasformazione di soli tre ingredienti in un prodotto che, per antonomasia, è la più immediata espressione della cultura di un popolo. Ma a vestire questo processo di lenta mutazione di un alone di “magia”, di calibrata alchimia, interviene la maestria dei fornai che ripetono, imitandoli, gesti osservati sin da bambini, quando erano i genitori o i nonni a dedicarsi all’antica arte. Un simbolismo fatto di ricette non scritte, di segreti trasmessi di padre in figlio e gelosamente custodito in segno di devozione verso un mestiere che definisce, in maniera indelebile, l’appartenenza ad un territorio. è così, infatti, per Nunzio Ninivaggi, erede di una famiglia che da quattro generazioni si tramanda l’esperienza e i saperi della panificazione. È un piacevole viaggio l’accompagnarlo nel suo laboratorio, osservare la minuzia e l’amore con cui modella quella massa che ha riposato circa novanta minuti, protetta da un telo di cotone. Una fase cruciale (di circa mezz’ora), durante la quale si crea il reticolo fibroso che conferisce alla pasta la consistenza necessaria al compimento degli ultimi passaggi. Fatte riposare in posizione capovolta, le pagnotte vengono delicatamente inserite nel forno (alimentato con legno di quercia) e, trascorso il tempo richiesto dalla cottura, adagiate su assi di legno.

Impossibile tentare di sintetizzare in poche battute quel sentimento che illumina lo sguardo di Nunzio, che ritma il suo atteggiamento di “protezione paterna”, con il quale ama prendersi cura delle proprie “creature”. Figlio di questo sentimento così radicato, il pane di Nunzio prende le tipiche forme: “U’ Sckuanète” (pane accavallato, alto, di notevole dimensione, senza baciatura ai fianchi), oppure de “la Cappidde de prèvete” (cappello del prete, più bassa, privo di baciatura).

Ed appena sfornato, gli occhi di Nunzio si accendo di un bagliore inenarrabile, mentre quelle pagnotte, con il loro aspetto superbo, con una mollica giallo paglierino che si nasconde sotto una crosta bruno-dorata, sembrano esprimere l’autenticità dell’animo di chi, ogni giorno e da oltre trent’anni, regala, con un ardore mai sopito, un fragrante risveglio agli abitanti di Altamura.

Il Pane di Nunzio
Via Torino, 36
70022 Altamura (BA)
Tel. 080 3115852 
www.ilpanedinunzio.com

 

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