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Il Trebbiano Spoletino e il fascino discreto del passato
Pubblicato il 14/11/2014
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Sono trascorsi i secoli ma il Trebbiano Spoletino ha resistito al mutamento del gusto, alle spinte del mercato, alle calamità naturali. Ed oggi sembra mostrarsi al mondo degli appassionati del vino con accattivante discrezione. Per trovarlo bisogna raggiungere la bellissima Valle Spoletina, che si snoda a sud tra Montefalco e Trevi, lungo le pendici della dorsale appenninica umbro-marchigiana, dominata dal Parco dei Sibillini. Qui le viti di Trebbiano Spoletino, simbolo stesso delle viti maritate e di un’economia agricola di sola sussistenza, si intrecciano con le atmosfere oniriche e spirituali della campagna umbra, nel cuore stesso della regione “verde”. Culla storica del dominio longobardo, con il centro politico nel Ducato di Spoleto, lungo la strategica Via Flaminia, questa zona fu minacciata  dall’espansione dei Bizantini. Fu così creata una linea di fortificazioni, castelli e torri lungo la strada Amerina che salvaguardava il collegamento tra Ravenna e Roma: il Corridoio bizantino. Seguirono le lotte tra autorità comunali e Papato e la discesa di Federico II che cambiò il nome di Cors Coronae in Montefalco. Questa cittadina è anche il luogo visionario e profetico di nascita di S. Chiara, che fondò la regola monastica della “clausura” intesa come spazio fondato su pauperismo ed umiltà, per un rinnovamento profondo della Chiesa. E nel Monastero di S. Chiara della Croce, appena fuori le mura, sono conservate le Sante Reliquie e, nel famoso piccolo giardino monastico si trova l’albero orientale dei “paternostri”, che in primavera si copre di grappoli di fiori profumatissimi, di un viola chiaro e sfumato. La nostra ricerca verso l’alternativa umbra al Grechetto ci conduce in località Turrita. Le atmosfere “sospese” e “mistiche” sono accentuate dalla luce filtrata di una tiepida mattina autunnale, dipinta da un cielo blu terso verso il quale si solleva il calore della terra, quasi fosse il sospiro delle vigne vermiglie, sfinite, dopo un ciclo vitale appena concluso. Qualche grappolo sopravvissuto alla vendemmia è rimasto ancora appeso ai tralci. Sono in pochi in Umbria a credere da tempo nelle potenzialità di questo vitigno.

Tra questi vignaioli si distinguono Paolo e Giampiero Bea, con l'indimenticabile e già celebrato Arboreus, e poi i Tabarrini, la famiglia di Giampaolo, con la bellissima azienda affacciata sulla Valle, meta del nostro viaggio. Una calda e brillante accoglienza ci conduce prima in cantina e poi in sala degustazione, sulle tracce dell'Adarmando, il bianco dei Tabarrini proveniente dalla antica vigna dello Ziesu, dello zio, ancora a piede franco. Fin dall'assaggio in cantina, nella prima fase di vinificazione, troviamo conferma di trovarci innanzi ad un grande vitigno italiano. Le estrazioni a basse temperature, la fermentazione sulle bucce e la maturazione sulle fecce - rigorosamente in acciaio - esaltano i sentori immediati, quasi aromatici, e svelano un giocoso intreccio di note fruttate, floreali ed erbacee: una grande personalità all’interno dell’ampia famiglia dei Trebbiani. Ma sono tante le differenze rispetto al fratello, il trebbiano toscano: quest'ultimo, chiamato dai latini eugenia, migrò in Francia, vuoi con le legioni romane, vuoi al seguito della corte papale insediatasi ad Avignone, e lì assunse il nome di Ugni Blanc.

Il Trebbiano Spoletino invece non migra, è qui da sempre, se è vero che il nome deriverebbe dalla vicina Trevi. E poi ci sono le peculiarità in vigna: la grande resistenza alle malattie, la buccia resistente e pruinosa, le rese più basse ma pur sempre generose, la capacità di convivere con altre colture. Per tale ragione nella viticoltura tradizionale umbra e nei piani di sviluppo del dopo-guerra il Trebbiano Spoletino è censito tra i vini bianchi da pasto, in purezza o assemblaggio: così nel 1951 e nel 1953 alla mostra enologica di Perugia dove è presente quello di Enea Alessandrini. La diffusione dei vitigni internazionali ha però impedito alla produzione regionale di valorizzare adeguatamente gli autoctoni, nonostante siano contemplati in molti disciplinari. Una mancanza che oggi dovrebbe essere recuperata. Ma torniamo al bicchiere, dove ci viene versato l'Adarmando 2012. Scorre dalla bottiglia un liquido odoroso, giallo oro intenso, quasi a simboleggiare i lampi di sole. L'impatto minerale è immediato, predominante e quanto mai seducente: pietra focaia, note salmastre e reminiscenze che ricordano (quasi) alcune giovani versioni dei riesling tedeschi. Caratteri minerali, spiccati ed intatti, ma reinterpretati in chiave mediterranea. Un mélange stupefacente. Forti escursioni termiche e calore diurno spiegano tutto questo. Seguono i sentori di pera, la scorza di cedro candito, il fiore di camomilla, l’elicriso e le margherite gialle di campo. In bocca è ampio, avvolgente, ben strutturato, con netta venatura acida e una scia sapida lunghissima. In chiusura si manifestano rimandi ai sentori erbacei e floreali. Una promessa di lento e meraviglioso invecchiamento. È un vino raro, assolutamente consigliabile. 

Tabarrini 
Frazione Turrita
06036 Montefalco (PG)
Tel. 0742 379351
www.tabarrini.com
info@tabarrini.com

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