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Le intuizioni di un uomo, la nascita di un mito
Pubblicato il 20/06/2014
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Tra le zone viticole di prestigio della Toscana, Bolgheri è di sicuro la più recente e anche una delle poche a poter vantare una genesi ben precisa, dato che la sua fama è legata a doppio filo a quella di uno dei simboli della moderna enologia italiana, il Sassicaia, nato dalla passione del marchese Mario Incisa della Rocchetta. La coltivazione della vite nel territorio di Castagneto Carducci ha origini antiche, come testimoniano la presenza degli Etruschi e successivamente dei Romani, con Plinio e Rutilio Namaziano, in questi territori.

A partire dal ‘600, i conti della Gherardesca diedero nuovo impulso allo sviluppo economico di quest’area fino a farla divenire una tra le più fertili e di maggiore produzione della costa. Alla fine del ‘600 erano già nate due grandi vigne, una a San Guido e l’altra a Belvedere; la scelta di piantare in piena pianura, era dettata da esigenze di superiore produttività del terreno, dato che i lavoratori stranieri, i “lombardi”, accettavano paghe basse, ma volevano grande disponibilità di vino, sulla cui qualità non andavano molto per il sottile. A metà del ‘700, fu il conte Camillo Pandolfo, rinomato esperto di vino, a dare nuovo impulso alla produzione bolgherese; egli incaricò Clemente Moratti a ricoprire il ruolo di fattore, il quale costruì il nuovo “tinaione” e impiantò vigne intorno al paese di Castagneto. Un altro protagonista della storia del vino di Bolgheri fu il figlio del conte Camillo, Guido Alberto, il quale nel 1833 divenne “maggiordomo maggiore e bottigliere di corte” per il granduca Leopoldo II (nell’immagine) e grazie proprio a questo incarico, si rese conto della supremazia dei vini francesi, ma soprattutto della superiore organizzazione vinicola dei loro produttori. Egli affidò la responsabilità enologica a Giuseppe Mazzanti, che dette impulso alla fattorie di Bolgheri, Castiglioncello e Castagneto. Mazzanti ebbe un grande fiuto a individuare terreni e impiantare nuove vigne, mentre Guido Alberto era capace di rilevare le minime differenze tra i vini che ne risultavano. Così, nel 1816, nacquero i vigneti delle “Capanne”, dove oggi sorge la prima vigna del Sassicaia. Sin qui la storia del vino bolgherese pre-fillosserico. Dall’immediato dopoguerra, la viticoltura castagnetana si limitò a seguire le vicende italiane della ripresa economica, con conseguente attenzione rivolta alla quantità del prodotto piuttosto che alla qualità. Vi erano da una parte le piccole vigne derivanti dalla coltura mezzadrile legate all’autosufficienza, dall’altra si trovavano poche grandi vigne facenti parte delle fattorie “storiche” del territorio o di qualche facoltoso possidente, con vini prodotti destinati alla vendita in damigiana alle grandi strutture cooperative. Negli anni ‘60 questo tipo di viticoltura ebbe un ulteriore sviluppo grazie all’introduzione di incentivi economici; i nuovi impianti privilegiarono gli ubiquitari Sangiovese e Trebbiano, con una notevole erosione della variabilità genetica esistente nelle vigne tradizionali.

In questo contesto, spicca ancor di più la genialità del marchese Mario Incisa della Rocchetta, il quale volle ricreare in una zona in cui si producevano solo vini grezzi e rustici, il modello bordolese da lui tanto amato. Nel 1944 prelevò dai marchesi Salviati a Migliarino Pisano, le marze di Cabernet che impiantò a Castiglioncello di Bolgheri, in una zona protetta dal vicino mare, al quale si attribuiva erroneamente la colpa della cattiva riuscita dei vini. La vinificazione seguiva il modello francese, con un lungo affinamento in piccole botti. I locali, abituati a bere a Febbraio il vino della vendemmia precedente, non riuscivano a capire questo vino. Ci si accorse, riassaggiando lo stesso vino dopo alcuni anni di sosta in botte, che esso era migliorato e si era avvicinato all’obiettivo prefisso dal marchese. Dieci anni più tardi, il marchese decise di continuare nell’impresa e impiantò il vigneto Sassicaia, questa volta non lontano dal mare, sugli stessi terreni dove il conte Guido Alberto della Gherardesca aveva messo a dimora alcune “piantate” (le odierne vigne specializzate). Il Sassicaia rimase però un fenomeno limitato al consumo della famiglia e di pochi intimi amici fino agli anni ‘70. Il marchese aveva sposato Clarice della Gherardesca, sorella di Carlotta, moglie di Nicolò Antinori. Proprio Antinori accettò la proposta di commercializzare il Sassicaia e presentò a Incisa il proprio enologo, Giacomo Tachis; la miccia innescò la bomba e la detonazione ha scritto pagine importanti dell’enologia italiana e mondiale.

Nel 1972 vide la luce il Sassicaia 1968 con l’etichetta odierna. Nel 1974 Mario Incisa richiese a Luigi Veronelli un parere sul suo vino e fu subito amore a prima vista. Veronelli cominciò a comunicare al mercato italiano la propria passione per questo vino, ma contemporaneamente iniziarono ad arrivare i primi riconoscimenti internazionali. Dalla degustazione bendata della rivista inglese Decanter (fine anni ‘70), il Sassicaia sbaraglia un esercito di agguerriti Cabernet mondiali; l’annata 1985 si classifica prima tra i pari età del Medoc bordolese ed è tutto un susseguirsi di riconoscimenti che fanno di questo vino uno dei miti dell’enologia di tutti i tempi.

Nato in una zona geografica altamente vocata alla viticoltura di qualità, come dimostrano gli indici bioclimatici di Huglin e di Winkler, che si collocano su valori simili a quelli riscontrati nelle migliori aree vinicole mondiali e la zonazione condotta dal prof. Attilio Scienza, che ha individuato 27 unità pedologiche, caratterizzate da una elevata eterogeneità geopedologica dei suoli. Dove le colline proteggono le colture dai rigori invernali, mentre i fiumi Cecina e Cornia e la grande massa idrica del mar Tirreno, agiscono da sorgenti di masse d’aria costanti, che mitigano gli eccessi di calore e consentono maturazioni ottimali delle uve. Il Sassicaia ha dato nuovo impulso alla produzione vinicola del territorio, rendendo Bolgheri un luogo dove investire per produrre vini di grande qualità. Tra i primi Piermario Meletti Cavallari si trasferisce a Castagneto nel 1977 e crea il podere Grattamacco. Michele Satta, trasferitosi come fattore, da’ vita ad una propria azienda. La tenuta Belvedere di Nicolò Antinori viene divisa tra Lodovico e Piero, per divenire rispettivamente Tenuta Ornellaia e Guado al Tasso. Inizia così il fenomeno “Bolgheri”.

Alla fine degli anni ‘90, il vigneto in produzione di Bolgheri era di circa 250 ettari, ma mediante la riformulazione del disciplinare, in Doc Bolgheri Rosso, Doc Bolgheri Superiore e Doc Bolgheri Sassicaia (sdoganando il Sassicaia come vino da tavola), che offre molta elasticità nella proporzione tra i diversi vitigni ammessi e definisce in modo rigido la densità di piante per ettaro, la quantità di uve prodotte per ettaro e la quantità di uva per ceppo, si è incrementato il prestigio e incentivato nuovi produttori a investire a Bolgheri. Il vigneto Doc passa ad oltre 900 ettari; giungono nomi del calibro di Angelo Gaja, Ambrogio e Giovanni Folonari, Berlucchi, Girolamo Guicciardini Strozzi, Allegrini, industriali come Knauf e professori universitari del calibro di Attilio Scienza.

Il futuro è mantenere elevato il livello qualitativo dei vini del territorio e rafforzare il terroir Bolgheri, definendo uno stile comune dei vini, stile che Nicolò, figlio del marchese Mario, sta innovando, come rappresentato dal Sassicaia 2011, che rispetto alla “muscolarità” degli anni ’90, possiede una matrice di “stampo borgognone”.

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