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Quando l’attualità è la tradizione, l’orgoglio e il privilegio dei custodi del vino dei ghiacciai
Pubblicato il 13/06/2014
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Nel silenzio della Val d’Anniviers l’unico rumore era quello dei ricordi d’infanzia, gli occhi sbarrati e curiosi che rincorrevano le pagine di quel romanzo a me caro “Il Figlio dei Ghiacci”. Un cammino alla ricerca di un’autenticità perduta dall’avvento degli uomini bianchi che con la presunta civiltà, sostituivano pezzi della storia degli eschimesi, a loro volta rapiti dalla novità del benessere occidentale, a scapito dello propria identità. Cosi Russell l’eroina del libro parte per un viaggio e come compagna ha la solitudine, come armi i racconti degli insegnanti e dell’unico saggio Oogruk che gli infonde la forza del rispetto delle origini. L’accostamento al racconto degli abitanti del paese di Grimentz, ha liberato in me una gioia profonda nel toccare con mano una realtà dei sensi, ancora viva e intatta da parte della popolazione del luogo, quando parlano del Vino dei Ghiacci. Gli abitanti del Vallese, per lungo tempo trascorsero la loro vita in una forma quasi nomade, trasferendosi seguendo il flusso delle stagioni, che li vedeva impegnati per un determinato periodo dell’anno nei loro villaggi, e il resto del tempo a fondo valle coltivando i vigneti. All’epoca esisteva un tipo di uva la Rèze, la cui caratteristica era l’acidità, e per smorzarla, il vino giaceva per un lungo periodo fino al massimo di 20 anni. Per via della natura climatica eccessivamente calda, gli abitanti viticoltori, erano costretti a trasportare il vino nei loro villaggi, vicino al ghiacciaio tra le montagne, così da poterlo invecchiare naturalmente.

Questo vitigno oggi è quasi scomparso, ma l’Ermitage lo affianca grazie proprio alla sua elevata acidità. La Cuvèe un tempo era composta al 90% da Rèze con il 10% di Humagne Blanc, Ermitage, Petite Arvine e Malvasia. Ma l’immaginario va ancora una volta alla mia eroina, che aveva imparato a cacciare con l’arco e l’arpione a spostarsi su una slitta trainata da cani. In questo suo viaggio solitario incontra la donna con la quale condividerà l’autenticità del suo popolo. Come Russell gli abitanti di Grimentz difendono la tradizione rispettando il loro nettare a tal punto che il vino non è mai uscito dalle cantine. Infatti il Vino dei Ghiacciai ha un trattamento semplice e lineare che si chiama transvasage, ovvero ogni anno a Giugno parte del vino “giovane”, dopo la fermentazione, viene travasato nella botte più antica. La prima di 900 litri risale al 1886, e ogni anno ne vengono spillati, sotto severi controlli circa 25 litri, e secondo un calcolo matematico, nel 2127 rimarrà ancora l’ultimo litro di quel vino del 1886. Ci sono poi altre due botti di minore importanza, rispettivamente del 1888 e del 1934. Ho avuto il privilegio di assaggiare questo vino in appositi bicchierini di legno, che seguono la lunga tradizione della valle risalente al XIII secolo, e il “Glacier” viene degustato solo in occasioni speciali, come ad esempio i funerali o i matrimoni, ed è ferma intenzione di ogni abitante della valle, riservarsi del vino per questi momenti salienti della vita. Sono in totale sei i “patriziati” che ospitano le cantine della Val d’Anniviers, dove il procedimento eseguito è il medesimo.

Come per il “Figlio dei Ghiacciai” di Gay Paulsen, così per gli abitanti della Valle, la Tradizione è la loro realtà Attuale, dove il passato è un presente continuo, fatto di aromi e profumi, dorato nel suo colore come le “Vin du Glacier” e del sole che illumina tutta la vallata e riscalda il cuore di chi crede che l’unicità si incontra più volte ma mai si confonde, rendendo raro ogni atto d’amore, come la natura e gli abitanti di Grimentz esprimono con il loro Vino dei Ghiacci. 

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