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Orange Wine Passion
Pubblicato il 10/01/2014
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Nel mondo del vino tutti li conoscono ormai come “orange winesa causa della colorazione più o meno aranciata che assumono dopo la svinatura. Poi, nel tempo, tendono generalmente a una tonalità più ambrata. Qualcuno considera queste nuance il quarto colore del vino. Sembrano passiti: in realtà si tratta di bianchi sottoposti a macerazione sulle bucce, proprio come avviene per i rossi. Non dimentichiamo che, almeno fino agli anni '60, per molti contadini non c’era distinzione tra vinificazione in bianco e in rosso. Qualcuno, ancora oggi, mescola uve a bacca bianca con uve a bacca nera. La maggior parte di essi ritiene si tratti semplicemente di vino. L’aspetto qualitativo è talvolta considerato un optional: il principale obiettivo è spesso di carattere quantitativo. Le classi più povere consideravano infatti il vino un alimento, alla stregua del pane o del companatico (quando c'era).

Ma non si può parlare di orange wine senza citare colui che ne è stato il precursore: Josko Gravner. In quel di Oslavia, sulle colline che circondano Gorizia, fu il primo ad utilizzare grosse anfore in terracotta per la fermentazione e la maturazione del vino, secondo lo stile plurimillenario appartenente alla tradizione georgiano-caucasica (stile poi adottato anche in età romana). Tuttavia, molti nutrono ancora riserve su queste pratiche enologiche, soprattutto per quanto concerne la qualità dei vini, ritenuta da molti discutibile. Solitamente, queste pratiche si ispirano alla cosiddetta agricoltura biodinamica ed ai concetti “antroposofici” propugnati dal grande filosofo, esoterista, antropologo e pedagogo austriaco Rudolf Steiner (1861-1925). Egli intendeva questa disciplina come "metodo di coltivazione basato sulla visione spirituale antroposofica del mondo". Più semplicemente: rapporto dinamico tra organismi, pianeti, ambiente naturale. Ma nella realtà che ci circonda, spesso il problema è legato ad un approccio ideologico, soprattutto in coloro che, ad esempio, parlano ancora di vini naturali che, per definizione, neanche esistono. Per esserlo, dovrebbero scaturire infatti da processi naturali, senza l'intervento dell'uomo. Ma, forse, essi esistono solo nella fantasia di chi li evoca. Oltre al citato Gravner, ci sono diversi altri produttori che, nel Collio goriziano e nel Carso triestino, si cimentano con questa specialità enologica. Tra i più conosciuti ricordiamo: Fiegl, Il Carpino, Kante, Podversic, Skerk, Vodopivec, Zidarich ecc.

Damijan Podversic, che da diversi anni ha adottato pratiche enologiche ispirate alla biodinamica, non ama la definizione: orange perché, secondo lui, questo colore potrebbe ingenerare dubbi sulla qualità del vino. A lui, bisogna riconoscere il merito di aver saputo interpretare al meglio questa disciplina, partendo dai vitigni tradizionali del Collio: Friulano, Malvasia Istriana, Ribolla Gialla, Pinot Grigio, Chardonnay. I sistemi di allevamento praticati sono il Guyot e il Cordone Speronato (quest’ultimo solo per la Malvasia). Il suolo è costituito dalla famosa ponka (misto di marne, arenaria e ciottoli). La resa massima è di 40 quintali per ettaro e la produzione attuale si attesta su 25-*30.000 bottiglie. I vigneti si trovano quasi tutti sulle pendici del Monte Calvario (Gorizia), mentre quelli del Kaplja si trovano presso Gradiscutta. Per i suoi vini, quasi tutti bianchi, utilizza solo lieviti indigeni o, come lui ama definirli “selvaggi”. Finita la fermentazione e la macerazione (60-90 giorni), i vini maturano per 35 mesi in tini tronco-conici di rovere da 25/30 hl, poi affinano in bottiglia per altri 6 mesi. Quasi tutti prendono il nome dal rispettivo vitigno, salvo il Nekaj (Friulano 100%), e il Kaplja (Chardonnay 40% - Friulano 30% - Malvasia Istriana 30%). Fra tutti questi bianchi, c'è posto anche per un rosso in stile bordolese: il Prelit (Merlot 70% - Cabernet Sauvignon 30%).

Damijan sostiene che per fare un grande vino ci vogliono tre cose: una grande terra, un grande vitigno e una grande uva, che però deve essere matura al punto giusto. “Dalla croccantezza del vinacciolo - spiega - si evince il grado di maturazione, e questo fornirà preziose indicazioni per stabilire il momento ideale per la vendemmia”. Un altro fattore importante è l'attacco della Botrite Nobile che, quando è presente, conferisce al vino un'aromaticità unica. Spillate direttamente dalle botti, abbiamo degustato diverse annate, risalendo fino alla 2005: ed è stato subito amore. L'intensità e la complessità olfattiva rapiscono da subito i nostri sensi. In bocca, il notevole calore alcolico e la dolcezza gustativa sono ottimamente bilanciati da una piacevole sapidità minerale e da una freschezza vibrante, ma anche da un tannino maturo, perfettamente integrato. Il finale è lunghissimo, appagante, inebriante. Questi vini bianchi (pardon orange), soprattutto quando sono maturi, con i loro sentori di miele, erbe aromatiche, fiori secchi e frutta disidratata (pesca, albicocca, agrumi), ci riportano alla mente, col rispetto dovuto, il Trebbiano d’Abruzzo di Valentini. Secondo me, essi appartengono alla categoria dei vini senza tempo. Da provare assolutamente.

Damijan Podversic 
Via Brigata Pavia, 61 
34170 Gorizia 
Tel. 0481 78217 
damijan.go@virgilio.it

 

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