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Voglia di Volare
Pubblicato il 20/09/2013
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Un anno fa, parlando di Krug, scrivevo che la qualità è figlia del coraggio e della passione, frase che ho con piacere visto essere ripresa e didascalicamente utilizzata in altri ambiti. Il coraggio e la passione sono gli ingredienti più che mai necessari oggi. Siamo bombardati, ormai soffocati con pervasiva insistenza dai venti della crisi. La parola stessa, "crisi", fa parte ormai del nostro DNA, ci accompagna dal risveglio al crepuscolo e turba i nostri sogni. Anche chi, per capacità o per fortuna, dalla crisi economica non viene scalfito, è coinvolto nel clima di sfiducia e pessimismo. Il mondo del vino non fa eccezione. Si passa, con impressionante e grottesca rapidità, dall'euforia verso mercati emergenti allo scoramento verso i medesimi se in poco tempo non si rivelano fonte di rapidi e cospicui guadagni. Il BRIC (Brasile-Russia-India-Cina) sembrava essere mesi fa la nuova banca per il nostro agroalimentare, mentre i dati reali delle vendite segnano il passo in maniera deprimente.

La sfiducia è l'alimento della crisi, e la sfiducia è figlia della stasi, della mancanza di idee e di ideali, è soprattutto conseguenza della mancanza di credibilità. Il nostro è un Paese la cui credibilità è stata minata e progressivamente frantumata da un medioevale e fallimentare sistema di gestione della cosa pubblica (che non riguarda solo qualunquisticamente "i politici", ma l'intero establishment dirigenziale). Il vino, quinta voce nella bilancia dei pagamenti italiana, non può e non deve essere coinvolto nel magma deprimente dell'Italia che affonda. Esso non è solo un bene di consumo o un cespite iscritto a bilancio, è parte ed essenza della nostra storia e del nostro agire quotidiano. Troppo spesso confondiamo la comunicazione con il marketing e le esigenze dei mercati. L'errore madornale che si continua a commettere nelle politiche di vendita è quello di individuare i "mercati emergenti" e cercare di capirne i gusti, per poi finire nel tritacarne delle guerre di prezzi e di organizzazione nelle quali veniamo sistematicamente massacrati da chi è in tale ambito più bravo di noi, dagli australiani ai cileni.

I francesi hanno costruito con il vino un impero commerciale non producendo mai vini per inseguire i gusti, ma esportando le peculiarità territoriali e un sistema paese efficiente e credibile. Noi italiani abbiamo non solo il diritto, ma il dovere di comunicare il primato del nostro territorio.

Lo straniero deve riconoscerci. Non deve comprare il nostro vino perché "è buono e costa poco", ma perché deve essere intimamente disposto a spendere il giusto per un bene unico e irriproducibile. La frase un po' qualunquistica che più ricorre nei nostri giorni è che siamo nella medesima situazione del primo e del secondo dopoguerra, quando i nostri giovani erano costretti a emigrare all'estero e l'economia era a pezzi. Ci si dimentica, però, che proprio in quegli anni disastrosi, con coraggio e con passione, sono nate le più belle ed entusiasmanti avventure imprenditoriali.

Proviamo a volare alto, sopra i proclami televisivi e le vetuste, stantìe e anacronistiche diatribe destra-sinistra. I nostri contadini, le nostre vigne, le nostre colline e la natura che ci ha regalato il luogo più bello del mondo meritano molto di più. Comunichiamo al mondo chi siamo realmente, e ritroviamo insieme la voglia di volare.

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