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Foie Gras
Pubblicato il 06/11/2015
Fotografia

Il Foie gras può essere di oca o di anatra, il primo più delicato e pregiato, il secondo ricercato da chi predilige un gusto più spiccato e selvatico. Da noi reperibili entrambi nelle gastronomie di lusso tra i prodotti di importazione (salvo piccole produzioni artigianali al nord), confezionati in latta o barattoli di vetro, ma sempre in conserva, mentre in Francia la scelta è tra varie tipologie, e nei mercati rurali non è difficile trovarlo appena estratto dall’animale, già pulito e pronto a cuocere per chi preferisce prepararlo in casa, sorvegliandone attentamente la cottura a bagnomaria. Con la preparazione casalinga si evitano, tra l’altro, additivi come nitriti e nitrati, che l’industria usa in abbondanza per prolungarne la conservabilità e mantenere il colore rosato originario. Bisogna comunque calcolare che un fegato fresco da 600 grammi (che diventano metà a fine cottura) è sufficiente per 4-6 commensali. Il Foie gras va servito a temperatura ambiente, a fette da mezzo a un centimetro di spessore, adagiato (mai compresso o spalmato) su tranci di pane di campagna o di pan brioche tiepido. Tipico, e di grande raffinatezza, l’abbinamento con Sauternes e altri “liquoreux” da uve botrizzate, come i Quarts-de-Chaume o i Sainte-Croix- du -Mont, ma anche Tokaji Aszù, Tba e Vendemmie tardive d’Alsazia, senza dimenticare i grandi muffati nostrani come l’Albana di Romagna passito o il Vino Santo Trentino a base Nosiola. La produzione mondiale di Foie gras ammonta a poco più di 27.116 tonnellate, di cui 20.000 appannaggio della Francia, seguita a distanza da Bulgaria (2.650), Ungheria (2.450) e Spagna (850). La produzione cinese è per ora inferiore alle 300 tonnellate, ma progredisce a un ritmo del 20% annuo. Oltre il 70% della produzione francese è riconducibile a tre gruppi che controllano la produzione ceralicola del mais: Euralis, col marchio leader Rougié et Montfort, Lur Berri col marchio GDO Labeyrie e Maïsadour, con i brand Comtesse du Barry, Excel e Delpeyrat. La Francia detiene inoltre il record dei consumi, oltre il 70%, con picchi particolarmente elevati durante le festività natalizie.

La merceologia distingue con chiarezza le diverse tipologie di Foie gras:

Foie gras entier (intero). È, naturalmente, il più pregiato e costoso. Si compone di un blocco intero dello stesso fegato e può essere venduto cuit (cotto), mi-cuit (semicotto) o frais (fresco). Il mi-cuit, elaborato a temperatura inferiore ai 100 gradi, è pastorizzato e si conserva pochi mesi in frigorifero, mentre il cuit è stabilizzato in autoclave a temperature superiori ai 100 gradi, e una volta confezionato può essere conservato due-tre anni a temperatura ambiente.

Foie gras (senza altra specifica). Non deriva praticamente mai da un solo fegato, ma da diversi pezzi compattati assieme.

Bloc de Foie gras. Più economico, ma comunque al 100% di fegato d’oca o d’anatra, si presenta più o meno omogeneo, a seconda che nell’emulsione siano presenti pezzi interi, autorizzando in tal caso la dicitura “avec morceaux” (con pezzi).

Contengono invece fegato di altri animali (in genere suino) il Parfait de Foie gras, il Pâté de Foie gras e la Mousse de Foie gras, questi ultimi da volatili al 50%. Particolarmente apprezzate varianti aromatizzate al tartufo (Foie gras truffé), all'Armagnac o alle spezie. L’invenzione del popolare Pâté de foie gras è attribuita a Jean-Pierre Clause, cuciniere nativo di Dieuze en Moselle, figlio di un tonnelier, che dopo diverse esperienze presso personaggi illustri entra al servizio del Marchese di Contades, governatore militare d’Alsazia residente a Strasburgo. Ha poco più di vent’anni quando crea, fra il 1779 e il 1783, il Pâté de foie gras, sigillando in una crosta di pasta dei fegati d’oca assieme a una farcia di vitello e lardo tritati. Il Pâté approda a Versailles, mentre Clause apre bottega in proprio come pâtissier.

Tutelato dalla legge francese come prodotto tipico, a pieno titolo parte integrante del patrimonio agroalimentare nazionale, il Foie gras ha in realtà origini molto più antiche, risalenti addirittura all’Antico Egitto. Pitture tombali da Saqqara mostrano chiaramente una scena di “gavage” (nutrizione forzata) di palmipedi, evidentemente pratica nota già 4.500 anni fa. Ripresa dai Greci, e poi dai Romani, tanto che Plinio il Vecchio fornisce una prima ricetta di pastone da ingrasso per le oche, a base di fichi secchi fatti rinvenire in acqua tiepida. Il fegato, “iecur” per i Latini, era di gran lunga l’organo interno più importante, tanto che le credenze dell’epoca sede dei sentimenti, delle passioni e addirittura dell’intelligenza umana. “Iecur ficatum”, letteralmente “fegato (ingrassato) con i fichi” divenne nel mondo antico espressione così comune che quell’aggettivo “ficatum”, ripetuto anche da solo, ha dato origine al sostantivo moderno “fegato”. I nostri avi già sapevano per esperienza che l’istinto dei palmipedi migratori come oche e anatre li portava a immagazzinare enormi scorte di cibo nei loro esofagi elastici, in vista dei lunghi tragitti verso sud.

Per secoli il gavage si è svolto senza costrizioni, a mano o con l’ausilio di un imbuto infilato nel becco, al quale è applicato un macinino a manovella. In tal modo, i volatili non solo non provavano sofferenza alcuna, ma anzi si avvicinavano spontaneamente per sottoporsi alla “grande bouffe”.

Un cambiamento radicale è avvenuto negli anni Settanta, quando il Foie gras è divenuto prodotto industriale, abdicando alla qualità in nome del consumo di massa. In tale ottica, gli allevamenti si concentrano in grandi capannoni, ove si ammassano migliaia di volatili. I pulcini appena usciti dall’incubatrice vengono selezionati col procedimento del sexage: poiché solo i maschi sono adatti all’ingrasso, le femmine vengono eliminate nella maniera più spiccia. Ogni anno nella sola Francia 40 milioni di anatroccoli femmina sono avviati alla camera a gas o al tritatutto per farne mangimi per animali. Per circa tre mesi oche e anatre crescono libere a terra in capannoni o zone recintate, nutriti naturalmente con erbe e carote, ed è questa l’unica fase che gli allevatori tendono a mostrare nei loro filmati promozionali. Assai meno bucolica è la fase successiva del “gavage”, l’ingozzamento forzato  tramite sonda pneumatica, tubo metallico di 25-30 cm che in tre secondi “spara” direttamente nell'esofago dei volatili immobilizzati in gabbie il pastone ipercalorico. Oltre al rischio di soffocamento da cibo, il tubo metallico viene spinto nel collo fino alla bocca dello stomaco, causando spesso all’animale che si divincola lesioni ed emorragie interne con esiti fatali. La quantità di cibo giornaliera varia dai 250 grammi al chilo, suddivisa in gavage che si ripetono due volte al giorno per le oche e quattro per le anatre. Nell’ultimo ventennio, numerose associazioni animaliste hanno denunciato la crudeltà di tali pratiche, chiaramente lesive dei diritti e del benessere degli animali, che sviluppano un fegato malato, grande dieci volte il normale a causa della steatosi, con conseguente respirazione difficoltosa per la compressione polmonare e vari altri effetti collaterali gravemente invalidanti. Già nel 1998 un’apposita indagine del Comitato Scientifico UE per la Salute e il Benessere degli Animali, ha preso in esame diversi allevamenti di oche e anatre destinate alla produzione di foie gras, puntando il dito contro la pratica del gavage “come correntemente praticato”, all’origine di un tasso di mortalità da dieci a venti volte superiore alla norma, invitando perciò allevatori e ricercatori a trovare "metodi di produzione che non richiedano l'applicazione dell'alimentazione forzata". Nel volgere di una generazione, l’immagine del Foie gras esaltato da Brillat-Savarin, simbolo di lusso e voluttà, è divenuto sinonimo di crudeltà e violazione dei diritti degli animali, subendo un crollo di vendite e di popolarità senza precedenti. Uno spot diffuso dalla tv belga ha letteralmente rivoluzionato le abitudini alimentari dei Valloni francofoni, tradizionalmente forti consumatori di Foie gras ricorrendo a immagini-shock in primissimo piano di volatili stipati in gabbie da tortura, ingozzati a forza fino all’infarto, starnazzanti e pazzi di dolore, preludio al monito: “Foie gras, non dimenticate mai come è fatto”. I Belgi, inoltre, hanno messo a punto un prodotto alternativo chiamato Faux gras, letteralmente “finto (fegato) grasso”, detto anche " Foie gras senza crudeltà", surrogato al 100% vegetale. In quasi tutti i Paesi dell’UE, Italia compresa, produrre Foie gras è oramai vietato. Si oppongono al divieto Francia, Bulgaria, Ungheria e Spagna. La Polonia, già quinto produttore, ha chiuso gli allevamenti fin dal 1999. Alcuni Stati, Enti e alcuni esercizi commerciali, sensibili alla causa degli animalisti, si sono spinti più in là, dichiarando illegale non solo la produzione di Foie gras ma anche la vendita di esso: dal 2014 l’India è il primo stato al mondo a chiudere le frontiere al prodotto. Nel 2013 Brigitte Bardot, paladina internazionale degli animalisti, ottiene dal governatore della California Arnold Schwarzenegger l’approvazione del divieto di produrre e vendere Foie gras entro i confini dello stato, istituendo un’ammenda di 1000 dollari per i contravventori. Nello stesso periodo di tempo,  la Camera dei Lord del Regno Unito cancella il Foie gras dal menu, seguendo l’esempio di celebri chef come Joël Robuchon e Gordon Ramsay, che sulla base di motivazioni etiche hanno pubblicamente rinunciato al prodotto. Da noi, la Coop ha ufficialmente bandito il Foie gras dai suoi scaffali, cancellando ogni accordo con i produttori. Dal maggio 2015, un’ordinanza municipale ha vietato la vendita di Foie gras nelle imprese ristorative di San Paolo, la più grande città del Brasile. L’alternativa al gavage forzato esiste, ma comporta un aggravio di almeno il 60% dei costi di produzione. Che possono addirittura triplicare nel caso di un allevamento rispettoso del benessere animale come la Pateria di Eduardo Sousa, sita a Pallares, paesino dell’Estremadura nei pressi di una grande riserva naturale, ove un migliaio di oche scorrazzano in piena libertà, nutrendosi di lupini, ghiande e delle magre risorse della dehesa di lecci e sughere, integrate da fichi e olive. Perfino l’abbattimento avviene in maniera indolore, narcotizzando i volatili. Unico Foie gras bio al mondo, il prodotto ha sbaragliato ogni concorrenza al Salone dell’alimentazione parigino. Unico difetto, il prezzo, sui 900 euro al chilo, peraltro pienamente giustificato dalla qualità inarrivabile e, soprattutto, dal pieno rispetto del benessere delle oche, che vivono libere e felici fino al giorno del loro sacrificio.

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