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D come Demerara
Pubblicato il 05/06/2015
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Dal punto di vista geografico, Demerara è il nome di uno dei tre distretti storici della Guyana ex britannica, assieme a Berbice ed Essequibo. Siamo in uno degli angoli più intatti del pianeta, quasi interamente ricoperto dall’originaria foresta amazzonica, con clima equatoriale stabile sui 30 gradi tutto l’anno, piogge concentrate nei mesi estivi, umidità tra il 90 e il 100%, condizioni sempre meno sopportabili man mano che ci si addentra nell’interno. Demerara è anche il nome del fiume lungo 346 km (metro più, metro meno, la lunghezza della Charente) che attraversa buona parte del paese per poi sfociare nell’oceano, ad ovest della capitale Georgetown. In lingua autoctona, il nome significa « fiume della foresta », e in effetti il suo corso impetuoso taglia in due la foresta pluviale, dilavando grandi quantità di fango, che per molte miglia ne intorbida la foce. Demerara è, nondimeno, appellativo familiare ai gourmet, che con esso identificano una tipologia pregiatissima di zucchero di canna, dalla quale si ricava un Rum raro e ricercato. Le prime piantagioni si devono agli olandesi, non direttamente sbarcati colà dalla madrepatria, ma esuli dal Brasile, o meglio dallo stato di Pernambuco, di fondamentale importanza strategica per la relativa vicinanza alle coste africane, sulle lucrose e sciagurate rotte dei negrieri. A Recife e dintorni, infatti, la potente flotta della Compagnia Olandese delle Indie Occidentali era riuscita a strappare ai portoghesi per un quarto di secolo il dominio della regione, dal 1630 al 1654, abbastanza per lasciare ancora oggi traccia di quello splendido periodo nel tessuto urbano del quartiere più antico, dove sorge la più antica sinagoga d’oltreoceano. Assai meno tolleranti degli olandesi, riconquistando la regione i portoghesi si preoccupano innanzitutto di scacciarne la folta comunità di mercanti ebrei, che in fuga verso ovest si rifugiano lungo il fiume Demerara e a Barbados; terre inospitali, messe tuttavia a frutto con grande tenacia e infallibile fiuto imprenditoriale. La tecnica di produzione dello zucchero di canna è di per sé procedimento abbastanza complesso; inizialmente, perciò, le colonie si limitano a produrre un semilavorato molto grezzo e semiliquido, il cosiddetto muscovado, frutto di una prima cottura con sommaria cristallizzazione, che arriva in barili alle raffinerie di Amsterdam, Amburgo, Londra, Bristol, Bordeaux e Marsiglia. Ma già a partire dal secolo successivo, col consolidarsi del controllo politico delle terre d’oltremare, diventa più conveniente delocalizzare alla fonte tutti i processi produttivi. Le fiorenti colture di piantagione, che solo gli olandesi potevano ottenere sistemando a polders le terre basse del litorale, garantivano alta redditività grazie a due fattori fondamentali: il pregio commerciale delle derrate coloniali e il costo pressoché nullo della manodopera, interamente costituita da schiavi catturati sulle coste africane. Il diciassettesimo secolo è il periodo di massima espansione delle distillerie, forse due o trecento. Nel frattempo, gli inglesi avevano scacciato gli olandesi (il contenzioso durò secoli, ed è curioso pensare che nel 1898 ci fu persino un arbitrato italiano con Vittorio Emanuele III), dando nuovo impulso alle piantagioni, ciascuna con relativo mulino e distilleria per sfruttare la melassa, residuo di lavorazione comunque ricco di preziose sostanze, in primis zuccheri non cristallizzabili (saccarosio e fruttosio) in grado di fermentare producendo alcol. Lo zucchero rosso-bruno di Demerara diventa il preferito dagli inglesi, mentre il rum circola soprattutto sui mari, come razione quotidiana del marinaio e come moneta di scambio nella tratta degli schiavi. Sul monopolio dello zucchero, il Regno Unito prospera, e commercianti come Henry Tate, creato baronetto, passano alla storia per le immense ricchezze accumulate. Nell’agosto del 1823 gli schiavi delle piantagioni di Demerara, costretti a ritmi massacranti in un clima caldo-umido tra i più infernali del pianeta, osano alzare la testa chiedendo l’abolizione della fustigazione, trattamenti più dignitosi e regolamentazione del lavoro, ma cavalleria e fucilieri, rapidamente mobilitati su istanza dei grandi proprietari, reprimono nel sangue la sommossa, con tanta gratuita ferocia da suscitare profonda indignazione nella stessa Inghilterra. L’indipendenza arriva nel 1966 (delle tre Guyane coloniali di un tempo, francese, inglese e olandese, ai nostri giorni solo la francese rimane, come possedimento d’oltremare).

Le antiche piantagioni, già delle holdings britanniche“Booker Sugar Estates Limited” e “Tate and Lyle and Jessels”,  appartengono ora all’industria di stato GuySuCo, acronimo di “Guyana Sugar Corporation” , mentre le ultime distillerie già europee sono ora di proprietà statale, raggruppate sotto il marchio unico Diamond Distillery o DDL (Demerara Distillers Limited), il cui principale label di riferimento è El Dorado. Ma sempre dalle stesse distillerie proviene, ad esempio, il Plantation Guyana, in gamma con vari altri cru dalle Barbados al Nicaragua. A partire da Gennaio 2014, in seguito ad appassionata ricerca di Luca Gargano, sono entrati in commercio alcuni rarissimi ed esclusivi blending operati da George Robinson, leggendario master blender della Demerara Distillers, che nella gamma Velier vanno ad affiancare i Rum DiamondUitvlugt, di corpo medio-leggero,da antichi alambicchi a colonna, e i potenti e vigorosi Enmore, da coffey still in legno unico al mondo e Port Mourant, da double pot in legno datato 1732. Ovviamente, si fregia dell’appellativo di Demerara l’intera gamma El Dorado, sia i base che i 5, 8, 12, 15, 21 e 25 anni. Ancor prima di Gargano, sulle rotte del rum si era mosso da pioniere assoluto Silvano Samaroli, attento selezionatore di partite uniche e irripetibili, come il Dark Rum 1990 “aged in Scotland”. Il Demerara è per Samaroli categoria a parte, scaturita dall’intreccio fra i diversi metodi di distillazione e di invecchiamento ereditati dalle varie dominazioni coloniali. A fronte di un profilo qualitativo del distillato così particolare e sui generis, stupisce la genericità della menzione Demerara comunemente applicata a tutto lo zucchero di canna di qualità superiore, tanto da ritrovarla per paradosso anche sul prodotto dell’isola Mauritius, con grave pregiudizio della chiarezza dovuta ai consumatori. Caratteristiche imprescindibili del vero Demerara sono comunque i cristalli medio-grandi tra l’oro e l’ambra, leggermente collosi, e il gusto leggero e delicato, assai meno intrusivo dello zucchero bruno, e pertanto adattissimo a dolcificare tè o caffè senza alterarne il gusto, grazie al contenuto molto equilibrato di melassa. Giudizio altrettanto positivo sotto il profilo nutrizionale, per la gran quantità di microelementi utili: potassio, magnesio, fosforo, calcio, ferro, vitamine E e del gruppo B.

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