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Selinunte
Pubblicato il 22/04/2016
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Si è tenuto a Selinunte a metà aprile, nella stupenda cornice del parco archeologico, il battesimo per la  candidatura della città ellenica, a bene Patrimonio dell’Umanità. Apre i lavori della conferenza stampa Nicola Miceli, Presidente club Unesco Castelvetrano Selinunte, sottolineando che il tema del convegno  affronta l’importanza che la città di Selinunte e tutto il territorio selinuntino ebbero per la centralità politico-culturale dell’isola, per i suoi rapporti commerciali nel mediterraneo, per l’imponenza della sua civiltà che ancor oggi si legge nella magnificenza dei suoi resti. “Abbiamo bisogno di trasporti, di viabilità, di insegne, abbiamo bisogno di dare e darci un’opportunità unica legata al  tesoro che abbiamo” conclude così Miceli che cede la parola a Paola Misuraca, Presidente del Comitato scientifico del parco di Selinunte e Cave di Cusa: ”sono una palermitana innamorata del territorio trapanese e di tutto questo comprensorio, Selinunte costituisce la perla più rara”. Il convegno si svolge nelle sale interne del Baglio Florio, all’interno del parco archeologico, altra testimonianza dello splendore economico e del gusto raffinatissimo che continuarono a caratterizzare questo luogo anche dopo le civiltà elleniche. Il Baglio è stato oggetto di accurato restauro e non è ancora ultimato. Nove milioni di euro della comunità europea sono stati finalmente sbloccati  per estendere il restauro anche al  Tempio E. La provincia di  Trapani,  continua Misuraca,  ha un trend di turismo in crescita, grazie anche alla viabilità indotta dall’aeroporto di Birgi e dal porto di Trapani.  “Chiunque arrivi qui, e chiuda gli occhi, può avere davanti a sé tre scene: quella pastorale, con i profumi di artemisia, fiori di campo, ulivi; quella solenne, immersa tra i templi e quella disperata ricordando la difesa del 409 a. C contro i Punici e i cataclismi che hanno distrutto la città”.

“Abbiamo aspettato venti anni ma Il parco di Selinunte ha finalmente ottenuto l’autonomia finanziaria” prende così la parola il  direttore del parco Enrico Caruso, ciò significa che i proventi ottenuti dalla vendita dei biglietti potranno essere gestiti dal parco e investiti per potenziare la sua fruibilità.

Continua Carlo Vermiglio, Assessore dei beni culturali e dell’identità siciliana che apre con un saluto istituzionale e personale insieme: ”Parlo da uomo che conosce Selinunte e la ritrova dopo venti anni straordinariamente bella.” Selinunte, centro produttivo, economico e culturale di una colonia di frontiera, che oggi ha bisogno di uscire da una crisi economica insieme alla Sicilia che dura da troppi anni. “Abbiamo il clima, la posizione geografica, un patrimonio culturale presente in concentrazione rara ma tutto questo è un onore e un onere nello stesso tempo perché dobbiamo rendere conto ai cittadini del mondo di questa bellezza, imparando ad usarla e a valorizzarla per noi e per i nostri figli“.

Conclude così il sindaco con l’augurio di avere presto in Sicilia, l’ottavo sito Unesco.

L’introduzione ai lavori è invece riservata a Raymand Bondin, ambasciatore ed esperto di Unesco: “Presento la Sicilia in tutto il mondo ma colgo la difficoltà degli utenti a reperirne informazioni, siti esclusivamente in lingua italiana o non aggiornati. Il turista merita di più. Tra le tappe da seguire per percorrere questo iter, l’Unesco richiede un piano di gestione con impegni da rispettare una volta entrati nel circuito. Selinunte è un sito straordinario ma non è l’unico, il problema è decidere come presentarlo e se presentarlo da solo. Le Cave di Cusa costituiscono un valore aggiunto unico, rappresentano l’origine della civilità, sono le fondamenta di quello che è stato costruito. C’era l’idea di presentare Selinunte insieme a Mothia e c’era anche una proposta trans-frontaliera considerando anche la Sardegna o Malta ma questi percorsi sono difficili.  “Chiedere la candidatura di un bene a Patrimonio dell’Unesco significa ambire ad un riconoscimento importante che ha risvolti economico-culturali determinanti, ma significa soprattutto chiedere di poterne essere i custodi”. La parola dunque ad Attilio Scienza dell’Università di Milano, col suo intervento “La frontiera nascosta di Selinunte e l’origine dei vitigni siciliani”. “La vita di oggi, come quella di allora, è molto legata al vino. Per gli antropologi la frontiera non è un assunto geografico ma un metodo di indagine che dà grandi risultati sulle diversità. Senza frontiere non c’è differenza tra il materiale che sta al di là e al di qua della stesse.” Comincia così Scienza, approfondendo i concetti di frontiera, confini e limes  Il limes è un confine solo geografico, un fiume, una catena montuosa. Dove c’è un limes le realtà si sono spesso fuse perché i confini geografici sono stati superati. Dove c’è una frontiera, le due culture che si confrontano, non entrano in contatto e ci consentono così, di risalire alle fasi più antiche delle loro manifestazioni, alle origini, identificate dai diversi sostrati. I confini sono invece paradossi culturali, da luoghi di separazione diventano luoghi di incontro e sono i veri protagonisti della storia, in quanto danno origine a nuove manifestazioni sociali ed economiche, risultato dell’integrazione delle culture che sono venute a contatto. Ci sono dei “confini nascosti”, e la viticoltura è piena di riferimenti. “Karras” è la parola con cui i greci di Marsiglia indicavano il palo su cui allevare la vite. Dove è ancora possibile risalire a questa parola, variamente modificata, nei vernacoli locali, dell’Italia nord occidentale, arrivarono i greci di Marsiglia. Un altro esempio è la forma di allevamento ad alberate ed alberelli, marcatori della presenza di etruschi e greci eubei nel territorio,  o ancora le urne funerarie di sepoltura e gli inceneritori erano usanza comune tra Dauni e Greci Corinzi. Se c’è tracia di questi resti, fin lì si è spinta la popolazione. La cultura migra col popolo. La circolazione dei popoli nel Mediterraneo, Greci, Cartaginesi, Etruschi, Celti, ha lasciato identità culturali riconoscibili. L’origine di queste ricchezze  sono i “Nostoi” o viaggi di ritorno, dalla guerra di Troia, fenomeni di colonizzazione avvenuti  tra il X e il III sec a.C. Le tappe del  viaggio di Ulisse sono caratterizzate, per esempio, dalla presenza di ceramiche euboiche rinvenute in tutte le soste. Un altro rapporto identitario, si può scorgere, tra le colonie greche e le popolazioni che le hanno fondate, attraverso i vitigni ritrovati nei luoghi. In riferimento alla Magna Grecia, la cultura agricola era prevalentemente cerealicola ed olivicola. Le varietà presenti a Messina e in Calabria sono scomparse in età moderna ma la Calabria è piena di varietà autoctone, anche se non tutte sono ancora coltivate. Se analizziamo il DNA della varietà presenti al centro della Calabria troviamo che appartengono a famiglie genetiche diverse da quelle presenti nella parte settentrionale della regione, colonizzata dagli etruschi. Questo indica l’importanza dei confini culturali che ci sono ancora. Facendo un parallelismo con i templi, c’erano i templi centrali e quelli di periferia che marcavano il territorio, il confine, Anche le varietà sono marcatori di confine. Dove arriva la varietà, fino a quel punto, probabilmente era arrivato un popolo. Uno spunto importante di tracciabilità dei popoli attraverso la vite ce lo dà Magone, agronomo cartaginese del periodo classico che studiò approfonditamente la storia del Nord Africa. Magone, che poi ispirò Plinio e Columella  identifica il vino Biblino, vino fenicio, con il “Pasum” dal colore del fuoco, forse un moscato da uve appassite, ma c’era un altro vino famoso per la sua bontà in una colonia fenicia ed era il vino di Inycos, l ’attuale Menfi dove nelle fattorie rustiche si produceva un vino ottimo e dolce “callistos ed edus” prodotto da uva nera e passa.

Nella Sicilia delle varietà viticole, si cela il grande mistero della loro origine. Alcune varietà dell’isola, ad es. Catarratto, Grillo, Zibibbo risultano imparentate con quelle del nord Italia, come l’ Albana di Romagna per esempio, la Garganega o Grecanico. Sono vitigni che si sono spostati dalle aree del loro arrivo verso altri territori. Queste varietà arrivavano dalla Grecia cosiddetto nel triangolo di “acclimatazione” compreso tra Calabria e Campania  e poi andavano al nord seguendo gli spostamenti dei popoli.

Tra le varietà, c’è poi un’altra famiglia derivata da Schiava e Malvasie che invece ha un’altra origine, in quanto di derivazione veneziana, molto più recente, attribuibili al commercio del vino di cui Venezia fu protagonista nel Mediterraneo, durante il Medioevo.

E’ chiaro che per fenomeni di incroci e introgressione genica le nuove varietà incontrando quelle preesistenti diedero vita altre varietà.  Se la cultura greca contadina è prettamente cerealicola, lo stesso non si può dire per quella umanistica legata al Simposio come nessuna altra. Tra i compiti del simposiarca, quello di diluire il vino con acqua, rapporto che doveva essere funzionale all’argomento da affrontare nel Simposio. Dunque il vino protagonista indiscusso di questa cultura. Attraverso i vitigni presenti oggi è stato possibile ridefinire i confini tra la cultura fenicia e quella greca. Rientrano tra le varietà con pedigree greco: Carricante, Perricone, Frappato, Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio; avrebbero invece origini cartaginesi: l ’Inzolia, il Catarratto, il Grecanico, il Nero d’Avola. Infine, costituiscono un incontro tra i due poli: il Grillo e lo Zibibbo. D'altronde, la loro collocazione storica regionale, divide l’isola greco-fenicia. Alla luce di queste considerazioni, è stato costruito a Selinunte, nella zona dell’antico porto fluviale, un vigneto dimostrativo che accoglie le varietà del Mediterraneo, cercando di mettere insieme le intenzioni dei nostri antenati,  romani, punici, greci; cominciando dalle varietà e finendo con i sistemi di allevamento tipici per ogni cultura. Il vigneto, realizzato con l’intervento della cantina Settesoli e della strada del vino Terre Sicane, nel contesto di un programma transfrontaliero tra Sicilia a Tunisia, denominato Magone, è incorniciato da una serie di melograni appartenenti a varietà e provenienze geografiche  diverse, un omaggio a Demetra, il cui tempio è molto vicino, e alla sua fertilità. Il vigneto, vuole essere inoltre, un ricordo alla cultura del vino introdotta dai greci, cultura che oggi possiamo legare a vini di qualità, in uno dei luoghi più belli del mondo. Il valore simbolico del vino, legato alla cultura greca da sempre e  per sempre, oggi è un concetto inscindibile dal patrimonio artistico-culturale dell’isola. E’ tutto molto bello ma, ricordiamo che “anche se l’amore è nell’amante, è l’amato ad essere bello”. Siamo noi che renderemo questo luogo bello, con l’amore, con la cura e con la consapevolezza di quello che abbiamo.

 

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