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Vilmart, paradigma della qualità
Pubblicato il 17/02/2012
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È più forte di me. Non riesco a far passare più di un paio di settimane senza sentire il bisogno di parlare di Champagne. La famiglia Vilmart appartiene, sin dal 1890 a quella schiera di vignaioli che producono vino non per compiacere i palati modaioli, ma per esprimere al meglio possibile l’anima del territorio che la natura ha loro “naturalmente” dedicato. Sono, da sempre, “naturalmente” biodinamici senza il desiderio spasmodico di esserlo. Decennio dopo decennio, generazione dopo generazione, i Vilmart, senza clamori, hanno cercato di capire, meglio di chiunque altro, le caratteristiche del territorio di appartenenza cercando di trasformare il bicchiere nel miglior interprete possibile del complesso delle caratteristiche che il piccolo villaggio di Rilly La Montagne e il suo sottosuolo, posti al centro del cuore antico della regione, possiedono da milioni di anni. Il rispetto del territorio, che si traduce in totale assenza di utilizzo di diserbanti e affini, unito alla maniacalità profusa nell’intera filiera di cantina, ci regalano il Coeur de Cuvèe 2002, un vino che pare esprimere la sintesi di ciò che uno Champagne dev’essere: struttura, morbidezza, equilibrio, sapidità, mineralità infinita. Dieci mesi in legno del vino base senza alcuna traccia di “falegnameria” al naso, poco meno di nove anni di maturazione sulle fecce per una complessità retrolfattiva inebriante, infinita: un vero connubio di potenza espressiva e di bevibilità, frutto di uve provenienti esclusivamente da vigne (80% Chardonnay e 20% Pinot Noir) di oltre 50 anni di età. È lo Champagne pulito e serbevole che ogni piccolo vigneron, soldato fragile nella dura battaglia in atto per la supremazia del terroir contro l’omologazione del gusto imposta da alcune grandi maison, dovrebbe prendere a modello. Doverosa e desiderata la citazione degli amici fraterni Armando Castagno, che ha reperito la bottiglia, e Paolo Lauciani che ha potuto condividere le medesime emozioni di assaggio.

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