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Export, cifre e cultura
Pubblicato il 13/01/2012
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“Il vino italiano vende”... “l’export del vino tira”… sono frasi ormai ricorrenti, quasi quotidianamente proferite e pubblicate per celebrare il positivo trend di crescita dei prodotti enologici del Bel Paese all’estero. Nel corso del 2011, per la prima volta, il fatturato dell’esportazione ha superato quello delle vendite interne, sfiorando i 4 miliardi di euro. Le crescite più importanti hanno riguardato gli Sati Uniti (divenuti il primo paese per consumo procapite) e l’Oriente, vero astro nascente, almeno sembra, per i vini di casa nostra. Ma quali prodotti si vendono, prevalentemente, da New Delhi a Shanghai, passando per Bangkok e Jakarta? È davvero, quest’area, il paese di Bengodi? Perché ai dati immaginifici sciorinati dai media non corrisponde altrettanto entusiasmo da parte dei produttori di qualità? I numeri sono reali, è vero, il vino italiano “tira”. Occorre sapere che, però, il 60% dei volumi è costituito da “vino in partita” (sfuso), con prezzi che oscillano tra i 50 centesimi e 1 euro al litro. Una buona fetta del restante 40% è retaggio di Prosecco, Moscato poi Pinot Grigio, Nero d’Avola e Soave. Ancora limitata e frammentata, la presenza di etichette importanti, che subiscono, nella fascia alta del mercato, il blasone dei grandi francesi e di prodotti australiani di buona qualità offerti a prezzi decisamente concorrenziali.

Siamo estremamente carenti nella capacità di fare sistema per abbattere i costi di distribuzione, e la conoscenza del nostro territorio, così capillarmente diversificato per ciò che concerne le aree vitivinicole, e necessaria al fine di meglio comprendere il carattere poco “ruffiano” e austero di molti grandi vini italiani, è ancora assai limitata. A un gruppo di allievi di Singapore (tra i quali vi erano ristoratori, aspiranti f&b manager, praticanti sommelier) ho recentemente chiesto “qual è secondo voi il più rappresentativo vino italiano”? La risposta è stata sostanzialmente univoca: “Pinot Grigio”. “E quello francese?” “Bordeaux, Borgogna, Champagne”. Al di là delle cifre, questa è la realtà.

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