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D come dattero
Pubblicato il 06/03/2015
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“I Cirenei sono un grande popolo, che d’estate lascia il bestiame al pascolo sul litorale per andare a cogliere i datteri presso la località di Augila, ove crescono, alte e in gran numero, palme cariche di frutti”. Si deve a Erodoto (libro quarto delle Storie) la prima citazione della palma da datteri. Emblema delle aree più calde del Mediterraneo, la palma, longilinea e imponente con i suoi 20- 30 metri di altezza, è originaria della mezzaluna fertile fra Tigri ed Eufrate, con diffusione in tutta l’Africa settentrionale di influsso mediterraneo, fino alla penisola araba, al Golfo Persico ed oltre, risultando oggi presente anche nelle Canarie ed in America Meridionale. Adattatasi a meraviglia, nei secoli, alle zone estreme semidesertiche delle oasi lungo le vie carovaniere sahariane, la palma non solo è nutrimento per antonomasia delle popolazioni nomadi, ma si impone fin dall’antico Egitto come sacro simbolo di fertilità, e i suoi rami vengono usati come ornamento durante cortei e celebrazioni trionfali. Nella tradizione cristiana, Gesù prossimo al martirio entra a Gerusalemme in groppa a un’asina, e viene osannato da una folla festante che stende mantelli e foglie di palma al suo passaggio.

Il nome generico di palma fa appunto allusione alla forma espansa delle fronde, lunghe da tre a cinque metri, spettacolarmente disposte a corona ascendente sulla sommità e da fasce basali ricadenti, con foglie a segmenti coriacei, rigidi e pungenti, di colore verde-glauco, mentre il nome botanico Phoenix rende omaggio ai Fenici, primi estimatori e diffusori di queste piante; Phoenix dactylifera è pertanto il nome completo della specie che ha la peculiarità di produrre datteri commestibili, per distinguerle da altre specie, come la Phoenix Theophrastii, volgarmente detta Palma di Creta, che recano invece frutti fibrosi, inadatti all’alimentazione umana. Altre specie, soprattutto in Asia, vengono utilizzate per la produzione di un fermentato noto come vino di palma. In effetti le Palme, o Arecaceae, sono una vastissima famiglia, comprendente 2.600 specie, suddivise in più di duecento differenti generi, distribuite nelle aree a clima tropicale o subtropicale. Il frutto commestibile della Phoenix dactylifera, chiamato Dattero per la forma allungata a dito (dàktylos in greco), è una bacca allungata di 4-5 centimetri, bruno-aranciata a maturità, con buccia sottile e polpa zuccherina, contenente un seme legnoso solcato longitudinalmente. Longeva e produttiva, la palma da datteri inizia a produrre frutti già dopo tre anni e può vivere sino a tre secoli, anche se il picco di massima vigoria si situa intorno ai trent’anni, quando ciascuna pianta può dare annualmente oltre mezzo quintale di frutti. Esistono due tipologie di datteri: a polpa dura, più apprezzati nei paesi arabi, e a polpa molle, coltivati e commercializzati per l’esportazione nei paesi occidentali. La maggior parte dei datteri viene sottoposta ad un processo di essiccazione, che ne aumenta la concentrazione zuccherina fino al 50-70%, riducendo al 20-30% il contenuto di acqua, con saldo di proteine attorno al 2,5% (tranne la tirosina, gli aminoacidi essenziali ci sono tutti) e tracce di grassi sullo 0,50%. Ne consegue un apporto calorico piuttosto elevato, 280-300 calorie ogni 100 grammi, contro le 140 del prodotto fresco. Quanto ai microelementi utili, bisogna citare innanzitutto il magnesio (50-60 mg per 100 g), cui seguono potassio, ferro, rame, zinco, calcio, fosforo e manganese, più un’apprezzabile quantità di vitamine del gruppo B (B1, B2 e B6). Il Dattero più noto in occidente è senza dubbio il Deglet Nour, letteralmente « Dattero di luce », carnoso e molto zuccherino, con polpa translucida che ne giustifica il nome, originario del sud-est dell’Algeria, e in particolare di Biskra, al centro di una zona di oasi subsahariane. Per aspetto, carnosità, superiore contenuto zuccherino e antica reputazione, il Deglet Nour diviene la cultivar preferita per l'esportazione, malgrado le sue esigenze di acqua e di terreno. A dare impulso sono i fenicicultori francesi dell’età coloniale, che la diffondono forzosamente anche in aree dove sarebbero più adatte altre varietà tradizionali, come Mejhoul, Boufeggous, Bouskri, Jihel, Sayeme, Feggouse, Halawi, Zahidi, Berhi, Hiann.  Purtroppo il Dattero Deglet Nour Igp, fiore all'occhiello dell'agricoltura algerina che ne resta il primo produttore con 2,4 milioni di quintali, non frutta quanto potrebbe all’economia di quel paese, a causa di carenze organizzative e mancato controllo dell’export. Gran parte della produzione, tra l’altro, viene impiegata per l’alimentazione animale. Ne ha approfittato la Tunisia, che mediante un’efficace organismo come l’APIA, agenzia di promozione degli investimenti agricoli, è diventata primo esportatore di Deglet Nour in valore, pur restando, per quantità, secondo produttore mondiale alle spalle dell’Algeria.

Altro Paese in forte ascesa è il Marocco, ove la varietà Majhoul de Tafilelt ha di recente ottenuto l’Igp, e milioni di palme sono stati impiantati con l’obiettivo di raggiungere l’autosufficienza produttiva; il paese, infatti, produce 90.000 tonnellate annue, ma ne consuma 150.000, e deve perciò ricorrere all’importazione, soprattutto in occasione del Ramadan, durante il quale il Dattero, cibo rituale per antonomasia, è indispensabile per l’interruzione serale del serale. Assai pregiata, e sostenuta da un export efficace, è anche la produzione israeliana. Ma le sorprese più importanti potrebbero arrivare dai datteri libici, straordinario esempio di ricchezza agronomica, a tutt’oggi immuni da temute fitopatie come il Bayoud (Fusarium oxysporum f.sp. albedinis), proprio grazie alla difesa naturale rappresentata da tale biodiversità. Le varietà libiche si dividono in tre grandi gruppi: quelle costiere (Bronzi, Taluni, Baudi) con frutto carnoso, quelle semimolli di zone interne (Bestian, Karthari, Tagiat, Saied), entrambe da consumo fresco, e infine le varietà Amjog, Emeli, Awarig, Tascube e Tamjog coltivate nelle oasi del sud, che producono frutti meno carnosi, adatti alla conservazione, i preferiti come scorta delle carovane che attraversavano il deserto. In Libia si contano ancora oggi oltre quattrocento varietà differenti, ben individuate dai produttori locali, delle quali poco meno di un centinaio rivestono interesse commerciale. Tale importante patrimonio, che la fenicicoltura libica ha saputo preservare, è attualmente oggetto di un programma di ricerca e valorizzazione coordinato dal nostro Istituto Agronomico per l’Oltremare di Firenze (IAO), in collaborazione con l’Ente libico per lo sviluppo e il miglioramento della palma e dell’olivo.

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