Bibenda
Bibenda, per rendere più seducenti la cultura e l’immagine del vino.
Visualizza tutte le notizie
C come chinotto
Pubblicato il 30/01/2015
Fotografia

Per i botanici il Chinotto è una pianta della famiglia delle Rutacee, appartenente al genere Citrus ed alla specie myrtifolia, originaria dei climi temperati caldi della Cina meridionale e importata dagli Arabi nelle penisola iberica fin dal XIV secolo. Freddo invernale, forti venti e gelate sono i suoi grandi nemici, perciò da noi predilige i terreni più soleggiati, mitigati dalla vicinanza del mare, come la Riviera Ligure di Ponente (Savona in particolare) e alcune zone costiere di  Calabria, Toscana e Sicilia (Taormina), oltreché della vicina Malta. Col nome di Bigarade si ritrova in Costa Azzurra e Corsica. Non molto alto, l’alberello del Chinotto ha radici fittonanti non invasive e foglioline ellittiche sempreverdi, piuttosto scure come quelle del mirto, mentre i fiori odorosi sono piccoli, bianchi, raggruppati all’estremità dei rami o solitari all’ascella della foglia. I frutti a bacca, detti anche esperidi, somigliano a piccole arance schiacciate ai poli, rivestite da una buccia liscia, sottile e molto aderente, caratteristicamente profumata, che racchiude una polpa amara e acida, con parecchi semi, suddivisa in 8-10 spicchi. Gli esperidi, se non raccolti, possono restare sulla pianta fino all’anno successivo, con bell’effetto decorativo che giustifica la presenza del Chinotto a scopo ornamentale in molti giardini, sia in terra che in vaso. Dai fiori si ricava un’essenza profumata ricca di antranilato di metile, ricercata sia nell’arte profumiera che in campo alimentare per ricavarne l’acqua di fiori d'arancio. La raccolta scalare dei frutti si effettua da metà settembre (frutti verdi) a tutto dicembre (frutti giallo-aranciati pienamente maturi). I frutti più piccoli, ancora verdeggianti, di peso inferiore ai 10 grammi vengono selezionati per la produzione della bibita nota come Chinotto, mentre i frutti più belli e maturi vengono canditi e utilizzati in pasticceria oppure nell’assortimento della Mostarda di Cremona. Assolutamente da provare i canditi della pasticceria savonese Augusto Vincenzo Besio, fondata nel 1860, famosa per la delizia dolceamara delle sue “mignonnettes”, chinotti raccolti ancora acerbi di appena tre centimetri di diametro. In liquoristica, il Chinotto è utilizzato per aromatizzare Grand Marnier, Cointreau e prodotti simili del genere Triple sec. Nell’isola di Malta, la popolare soda analcolica Kinnie deve il suo caratteristico aroma e la piacevole nota amaricante proprio al Chinotto locale. Anche in Italia il Chinotto si configura come una classica bevanda analcolica gassata, e tuttavia nell’immaginario collettivo degli italiani è icona alimentare densa di significati, simbolo nazional-popolare di orgogliosa risposta autarchica al soft drink all’americana. È stato acutamente scritto che “il Chinotto non lo si potrà trovare mai in un fast food perché è un rito di lentezza, necessita di tempi e di scelte precise che si contrappongo frontalmente all’incultura sbrigativa del fast food e della Coca Cola”. In margine a una mostra di qualche tempo fa  di Antonio Masotti, fotografo bolognese d’autore, significativamente intitolata “Venga a prendere un Chinotto da noi” veniva spiegato il legame ideale profondo tra l’ispirazione artistica e “una bibita italiana che sa d’antico o di postmoderno, un gusto arditamente vintage, recuperato in queste ultime stagioni dopo la commercializzazione vigorosa che Pietro Neri impose negli anni Cinquanta e Sessanta in tutto il Paese. Nuovamente moderno, dunque; eppure, con quel sapore di vacanze lunghe, di infanzia consumata senza fretta, di canicole estive in luoghi di mare o in città semideserte.” La paternità del Chinotto inteso come bevanda analcolica è in realtà controversa. Il Chinotto San Pellegrino nasce ufficialmente nel 1932, ma è con ben altro piglio imprenditoriale e glamour moderno che Pietro Neri inizia nel 1949, a guerra appena finita, la sua produzione, accompagnata dallo slogan: "Non è Chinotto, se non c’è l’otto". Lo stesso spirito tipicamente italico, geniale e motteggiatore, ludico e brillante (sarà merito della caffeina contenuta nella bevanda?) ispira nel 1979 “Kinotto”, forse il più bel disco del gruppo bolognese degli Skiantos e pietra miliare del punk rock nostrano, che recita testualmente: ” Il Kinotto è molto bello, sale dritto nel cervello/ Col suo gusto effervescente, fa leggera la tua mente/ Il Kinotto è come un mantra,  ti disseta e poi t'incanta/ Se lo bevi senza sosta, alla vita avrai risposta/ Un Kinotto ogni due ore è un gran viaggio da signore/ Un Kinotto ogni due ore fa passare il malumore”. Condividiamo parola per parola, e per sommi capi riportiamo, le “istruzioni per l’uso” fornite da Miro Renzaglia, giornalista, blogger, saggista, performer teatrale:  “Per il rito del Chinotto ci vuole una mezza fetta (e del giusto spessore) di limone, se si vuole esaltare l’acidulo, o d’arancia se si vuole invece smorzarne l’intensità a favore dell’amarognolo. Necessaria infine l’aggiunta di due cubetti piccoli di ghiaccio (non uno, non tre e non grandi, per evitare, da un lato, insufficiente diluizione e riscaldamento troppo repentino della bibita, dall’altro diluizione eccessiva). A brevi sorsi, si entra in totale armonia con la bevanda, con il ghiaccio, che intanto si scioglie (non bisogna bere troppo frettolosamente altrimenti il ghiaccio non ha il tempo di miscelarsi con il resto; non bisogna bere troppo lentamente per evitare che, squagliandosi troppo, annacqui il Chinotto) e con la fetta di limone o arancio (che devono rilasciare il loro fresco succo profumato, ma non devono avere il tempo di essere troppo macerate, per evitare che quel fresco profumo viri verso un sentore, solo percepito, di putrefazione). Ma il Chinotto può anche essere bevuto, in modo assai più diretto stappando la bottiglietta e bevendo a garganella, al bancone, senza nessuna mediazione del bicchiere”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA