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C come cinghiale
Pubblicato il 16/01/2015
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La carne di Cinghiale, un tempo reperibile solo in stagione di caccia, si trova oramai anche nei supermercati, e non c’è più bisogno né di frollatura né della marinatura un tempo necessaria per “togliere il selvatico”. Rispetto al maiale il colore è più scuro, il grasso meno presente, il gusto è più dolce e aromatico. La maggior parte della carne di Cinghiale reperibile nella GDO proviene da allevamenti controllati, in genere piccole aziende ove si recinta una parte di macchia e di bosco (ottimi querceto e faggete), riproducendo l’habitat favorito dell’animale, che può così crescere allo stato semibrado. Altra cosa sono gli esemplari cacciati, in genere più adulti e coriacei degli allevamenti, ove la regola è il cinghialetto o l’animale giovane (meglio femmina), che ha carni più chiare, tenere e meno grasse. E proprio sull’opportunità della caccia ferve da anni un acceso dibattito, che a volte assume i toni di vera e propria battaglia. I numeri parlano chiaro: nel nostro paese il numero dei cinghiali selvatici è quintuplicato negli ultimi trent’anni, e a tutt’oggi sono stimati in seicentomila gli esemplari sparsi in poco meno di un centinaio delle 107 province italiane, come dire un po’ ovunque. I dati ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ne rilevano la presenza in un’area di circa 190 mila chilometri quadrati, pari al 64 per cento del territorio italiano. Un fatto è certo: tra normale caccia “privata” e operazioni di “contenimento”, i capi abbattuti sono in costante crescita. Erano 93.000 nel ’98, sono diventati 115.000 nel 2005. La motivazione, pubblicata sui bollettini di diverse regioni italiane, è sempre la medesima: trattasi di interventi di natura straordinaria, mirati ad arginare il ricorrente fenomeno stagionale dei danni alle colture agricole, per cui si autorizzano battute di sfoltimento operate da squadre venatorie. "Negli ultimi anni la presenza di cinghiali nel territorio regionale è notevolmente aumentata – si legge ad esempio nel bollettino ufficiale della Regione Campania – e in alcune aree il fenomeno ha assunto proporzioni tali da creare serie ripercussioni sull'equilibrata coesistenza di questa specie con le attività antropiche, con particolare riferimento all'impatto negativo che la specie esercita sull' economia delle aziende agricole, all'entità dei danni conseguenti i sempre più frequenti incidenti stradali, nonché all'allarme sociale e sanitario derivante dalla presenza sempre più frequente di cinghiali ai limiti dei centri abitati". A parecchie amministrazioni viene anche l’idea di un business venatorio che potrebbe costituire una risorsa di non poco conto per le finanze locali.

Ma davvero, e fino a che punto i cinghiali minacciano le attività umane, per cui vanno cacciati senza mezze misure? Una voce nettamente contraria è quella di Massimo Vitturi, responsabile nazionale del settore caccia per la Lav: “Sono convinto che non vi sia alcun aumento del numero della popolazione dei cinghiali. E’ utile a troppe categorie denunciare un elevato numero di cinghiali, come i cacciatori e gli agricoltori, per accedere poi ai fondi regionali che tutti paghiamo. Si è alzato il livello di zoofobia, sta aumentando il livello di intolleranza…” Effettivamente, il Cinghiale (Sus scrofa), oggi diffuso in gran parte dell'Europa e dell'Asia tranne le zone più fredde, fino all’ultimo dopoguerra occupava nel nostro paese un aereale molto più ristretto, risultando virtualmente assente al nord, ma negli ultimi trent’anni, tale superficie si è più che quintuplicata. Qual è il motivo? Innanzitutto lo spopolamento della montagna, ma anche le immissioni a scopo venatorio, spesso realizzate con soggetti provenienti da allevamenti, magari appartenenti a sottospecie non autoctone e perfino ibridati con maiali domestici. E dal momento che gli animali domestici sono in genere più prolifici dei loro antenati selvatici, è altamente probabile che sia questa una delle motivazioni dell’aumento della fertilità. Recenti ricerche sull'etologia e l'organizzazione sociale dei cinghiali hanno inoltre evidenziato un aumento della fertilità ( e anche della mobilità, con conseguenti danni alle colture) proprio tra gli esemplari sottoposti a pressione venatoria, segnando un punto a favore di quanti si dichiarano contrari alla caccia. Per contrastare i rilevanti danni alle colture, sia diretti (cereali e foraggi divorati) che indiretti (calpestio e scavo di terreni agricoli) si può puntare su strategie alternative, ad esempio separando con una linea elettrificata bosco e coltivazioni, distribuendo nelle are critiche foraggiamenti dissuasivi ad hoc, impiegando attrattori come il catrame di pino e così via, mentre la fertilità può essere ridotta tramite telecontraccezione, iniettando a distanza negli animali il vaccino GonaCon, sparato con apposito fucile. In ogni epoca e in ogni cultura tra uomo e Cinghiale vi è sempre stato un rapporto complesso e contradditorio, da un lato di venerazione in quanto animale totemico, dall’altro di fiera e irriducibile opposizione, come suggerisce anche il mito greco di Eracle inviato contro il ferocissimo Cinghiale di Erimanto, devastatore di colture sull’omonimo monte dell’Arcadia. Ancora nulla, però, rispetto al mostruoso e inarrestabile Cinghiale calidonio, flagello inviato alle genti del luogo da Artemide, profondamente irritata per la mancanza di offerte. Per la battuta di caccia a una simile belva, il locale re Oineo si rende conto che i comuni mortali soccomberebbero, e perciò recluta un supergruppo di mitici eroi, quali Castore e Polluce, i Cureti, Ida e Linceo, Admeto e Atalanta, la fanciulla cacciatrice, che infligge al mostro la prima ferita. Signore assoluto degli spazi silvestri e della macchia più folta, possente, coraggioso e tenace fino alla morte, il Cinghiale rappresenta la selvaggina nobile per eccellenza, incarnando, anche ai giorni nostri, l’ostilità della natura selvaggia (o almeno di quanto essa rimane) nei confronti dell’uomo. Rendiamogli omaggio con un’antica e aristocratica ricetta, il “Cignale in dolceforte” come lo preparano in Maremma, cavallo di battaglia di molti ristoranti, come Bacco e Cerere a Saturnia e Caino a Montemerano. La particolarità è una salsa spessa e profumata, che assieme a spezie, erbe aromatiche e vino rosso, vuole pinoli, uvetta, arancia candita e cioccolato fondente. In abbinamento, nulla di meglio dell’Insoglio del Cinghiale, il “petit vin”della tenuta Campo di Sasso di Ludovico Antinori a Bibbona, taglio di Syrah con blend di Cabernet Franc, Merlot e Petit Verdot. L’insoglio è, per chi non lo sapesse, lo “scrub” naturale dei cinghiali, una pozza melmosa nel bosco dove il nostro ha l’abitudine di rotolarsi, per poi grattar via contro la corteccia di un albero il fango essiccato, che intrappola zecche e parassiti…

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