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C come confetti
Pubblicato il 10/10/2014
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"Se mi aiuti a portare a casa una di queste brocche d'acqua, ti darò un bel pezzo di pane." Pinocchio guardò la brocca, e non rispose né sì né no. "E insieme col pane ti darò un bel piatto di cavolfiore condito coll'olio e coll'aceto", soggiunse la buona donna. Pinocchio dette un'altra occhiata alla brocca, e non rispose né sì né no. "E dopo il cavolfiore ti darò un bel confetto ripieno di rosolio." Alle seduzioni di quest'ultima ghiottoneria, Pinocchio non seppe più resistere e, fatto un animo risoluto, disse: "Pazienza! Vi porterò la brocca fino a casa!" Carlo Collodi, “Le avventure di Pinocchio”, 1881.

Il Confetto che tanto ingolosisce Pinocchio doveva essere, con ogni evidenza, più sostanzioso e complesso della pralina mandorlata di oggi. L’etimologia rimanda, in effetti, al participio passato latino confectum, da conficere, ovvero cibo non propriamente cucinato, ma confezionato con più ingredienti, rivestendo di miele a caldo un nucleo interno di frutta secca, ed eventualmente aromatizzando con semi di anice o sesamo. Con simili confetti e vin Greco dolce, ad esempio, inizia la boccaccesca disavventura di Andreuccio da Perugia, mercante di cavalli spogliato a Napoli d’ogni suo avere. Il Confetto, cibo minimo dall’altissimo valore simbolico e rituale, vanta comunque una storia antichissima, tanto che all’epoca di Apicio (14-37 d.C.) era già in uso da secoli per celebrare nascite e matrimoni. Stando a un aneddoto di epoca imperiale, il primo a inventare fortuitamente il Confetto sarebbe stato un cuciniere di nome Julius Dragatus, al servizio della nobile famiglia dei Fabi, al quale accadde di rovesciare accidentalmente nel miele a bollore un vaso di mandorle sgusciate, che, una volta recuperate, si rivelarono deliziose e serbevoli, rivestite com’erano di miele indurito. Dragatus sembra aver dato nome all’equivalente francese del Confetto, la dragée, secondo altra ipotesi derivante piuttosto dal greco antico trághema, dolciume. Altri aneddoti chiamano in causa gli Arabi e Venezia, ipotizzando dunque un’origine assai più tarda, tra il XII e il XIII secolo. Di sicuro la nascita del Confetto moderno, del tutto simile a quello attuale, è da collocarsi non prima dell’età rinascimentale, quando si diffonde, sia pure limitatamente agli speziali e ad ambienti di corte, nobiliari e di alte gerarchie ecclesiastiche, l’uso del pregiatissimo zucchero di canna di importazione araba. Durante i sontuosi banchetti rinascimentali, che prevedevano una interminabile serie di portate, i confetti venivano distribuiti come intermezzo, e vi era l’usanza di farne dono alle giovani monache quando prendevano il velo, come narrato da Alessandro Manzoni. Questo è appunto il periodo in cui, tra Genova, Puglia e Abruzzo, inizia a fiorire la moderna industria del Confetto, che nel Settecento diventa vero e proprio status symbol aristocratico, seguendo l’uso della raffinatissima corte di Luigi XIV. Le nobildonne prendono l’abitudine di portare sempre con sé bon bon, chicche e confetti utili a confortare lo stomaco e profumare l’alito, estraendoli da piccoli e preziosi scrigni in madreperla e avorio, smaltati, intarsiati in oro e rivestiti di pizzi, le "bombonnières", appunto, da noi italianizzate in bomboniere, perfezionamento della “coppa amatoria” in ceramica che nell’Italia del Quattrocento il nubendo donava alla sposa come augurio solenne di prosperità e fecondità. A partire dal 1896, la bomboniera entra nell’uso tradizionale delle genti di ogni ceto, in seguito alle nozze di Vittorio Emanuele III con la bella e caritatevole Elena del Montenegro, idolatrata dalle masse popolari. Oggi le bomboniere non sono più necessariamente oggetti principeschi, al contrario sono più trendy il fai da te e l’ecosostenibile dei materiali poveri e riciclabili.

Resta invece immutabile la simbologia legata al colore e al numero dei confetti: le due metà della mandorla, dolceamara come l’esistenza, tenute insieme dallo zucchero che le avvolge simboleggiano l'unione della coppia. Il numero dei confetti è sempre dispari, a ricordare l’indissolubilità del matrimonio: cinque, in particolare, in occasione delle nozze, a simboleggiare fertilità, salute, longevità, prosperità e felicità; tre confetti per un battesimo, a simboleggiare la coppia e il figlio, un solo confetto in particolari occasioni per significare l’ unicità dell’evento. Ogni colore corrisponde a specifica ricorrenza: bianco (la purezza) per celebrare matrimonio o prima comunione, azzurro per il battesimo di un maschietto, rosa per quello di una femminuccia, verde per un fidanzamento, rosso per compleanno o laurea. Poi ci sono gli anniversari di nozze: rosatello per le nozze di cotone, a un anno di distanza, fucsia per i 5 anni delle nozze di seta, giallo per i 10 delle nozze di stagno, beige per i 15 delle nozze di porcellana, dorato per i 20 delle nozze di cristallo, argento per il 25esimo, verde-azzurro per i 30 delle nozze di perla, blu per i 35 delle nozze di zaffiro, smeraldo per i 40 anni, rosso per i 45 anni delle nozze di rubino, oro per il mezzo secolo delle nozze omonime, avorio per il 55esimo, ritornando infine al bianco delle nozze di diamante, celebrative dei 60 anni. Inoltre, le odierne tecniche di decorazione dolciaria permettono infinite varianti personalizzate, come quella a forma di cuore con il volto del presidente Obama realizzata nel 2012 ad Altamura (Bari) da una sostenitrice, per celebrare il neoeletto a nome della comunità italo-americana. I confetti si producono utilizzando caldaie a rotazione continua, in rame o in acciaio, in gergo bassine, ove le mandorle si rivestono a caldo (70 gradi) di soluzioni di saccarosio, in alternanza a fasi di asciugatura a getto d’aria. In turbine inclinate si effettua il rivestimento con gommalacca, che impedisce l’irrancidimento delle mandorle e la dispersione del loro prezioso olio essenziale. Segue, previa essiccatura di un giorno, il finissaggio con lisciatura, lucidatura ed eventuale colorazione superficiale con sciroppo meno concentrato e coloranti consentiti. L’intero processo può durare anche una settimana.

Il Confetto di maggior pregio, con interno di mandorla di Avola, presenta profilo piatto, rivestito da sottile strato di zucchero; delle tre tipologie di Mandorla Avola Igp, Pizzuta, Fascionello e Romana, la prima e la seconda sono le più utilizzate in confetteria, grazie alla forma appiattita ed ovale, che consente allo sciroppo zuccherino di aderire perfettamente su di essa, garantendo risultati impeccabili, sia dal punto di vista estetico che organolettico. Altra cosa è il prodotto industriale, che abbatte certamente i costi, ma oltre ad abbondare in farina, amido e altri eccipienti che ispessiscono il rivestimento zuccherino, contiene mandorle piccole e poco pregiate, oppure gioca di fantasia con ripieno al cioccolato, ricotta e pere, allo Strega, alla liquirizia, al cocco, al limone, al caffè e così via. In Francia, Verdun è capitale riconosciuta del Confetto, in Spagna sono rinomate le località di Casinos e Alcoy, epicentro di una fiorente tradizione artigianale. In Italia risale all’ultimo quarto del Settecento la ditta genovese Romanengo, i cui  confetti assortiti discendono direttamente dalle “spezie da camera” medievali. Negli stessi anni veniva fondata a Sulmona, in provincia dell'Aquila, la ditta Pelino. Il locale Museo dell’Arte e della tradizione confettiera custodisce antichi macchinari, cimeli, ricordi, oggetti rari e preziosi che dal tardo Medioevo in poi hanno contribuito a creare la fama di Sulmona come città dei confetti. Il Confetto di Sulmona è inserito dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali nella lista dei Prodotti agroalimentari tradizionali  (P.A.T.). Non meno bello e interessante l’analogo museo Mucci di Andria (Bari), all’interno dello stabilimento produttivo. 

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