Bibenda
Bibenda, per rendere più seducenti la cultura e l’immagine del vino.
Visualizza tutte le notizie
C come ciauscolo
Pubblicato il 04/07/2014
Fotografia

“Nelle Marche capitarono finalmente i Sénoni, l’ultima grand’orda celtica che abbia valicato le Alpi. Essi stabilirono le loro sedi sul litorale adriatico, da Rimini ad Ancona, ma alcuni gruppi debbono essersi spinti fin nel cuore dell’Umbria, ovvero fino ai confini dell’Etruria” . Corrado Barberis cita il sommo classicista Theodor Mommsen a riprova delle radici celtiche del Ciauscolo, da lui definito “straordinario salame da spalmare, inconsapevole nutella suina”, quasi un incrocio fra un pâté ante litteram e un insaccato affumicato come tradizione mediterranea vuole. "Ciausculu" è appunto, per i maceratesi, il budello gentile suino, il preferito per dar forma al Ciauscolo e ad altri salumi tipici. Secondo altra ipotesi, Ciauscolo deriverebbe dal latino "cibus-culum" , ovvero "piccolo cibo", nel senso di preparato alimentare milleusi, sempre pronto  sia per merende, semplicemente spalmato su fette di pane e crostini caldi , sia come ingrediente per arricchire sughi, intingoli e minestre. Innumerevoli documenti confermano che, per secoli, la diffusione di questo prodotto rimase confinata in un territorio relativamente ristretto, corrispondente all’odierna provincia di Macerata, più alcuni comuni ascolani e umbri. Tratto comune del territorio delimitato era la presenza, fino all’ultimo dopoguerra, di aziende mezzadrili con forte frammentazione della proprietà e maglia poderale ridotta, ove l’unico allevamento possibile era quello suino. A ciò si aggiunge il particolare clima del territorio montano dei Sibillini, con estati fresche ventilate e inverni nevosi con code di basse temperature fino a marzo-aprile, propizio a un processo di stagionatura lento e naturale di salumi e prodotti caseari. Nell’Archivio Notarile del comune di Camerino è custodito un estratto dei “Prezzi dei generi” dell’ottobre del 1851 ove il Ciauscolo è citato con il relativo prezzo di mercato. La spalmabilità del Ciauscolo si deve alla particolare tecnica di lavorazione dei norcini locali, incaricati una volta l’anno della cosiddetta “pista”, ovvero la mattanza del maiale con relativo confezionamento dei vari salumi, che insieme alla trebbiatura e alla vendemmia scandiva i tempi del calendario rurale. La ricetta tradizionale impiega rifilature di parti pregiate (prosciutto, polpa di spalla e lonza) e un’alta percentuale di grasso, il tutto macinato più volte, utilizzando trafile a fori progressivamente più piccoli, fino ad ottenere un impasto quasi cremoso. Ad esso si aggiungono sale, pepe nero tritato, aglio pestato al mortaio e vino cotto, insaccando il tutto “ 'ntillu ciausculu”, ovvero nel budello naturale. Si lascia asciugare per alcuni giorni accanto al camino, e poi si conserva in cantina o in solaio fino al momento del consumo, che nell’uso rurale precedeva il più serbevole salame. Il Ciauscolo ha ottenuto nell’agosto 2009 il riconoscimento dell’Indicazione geografica protetta. Tra i requisiti elencati dal disciplinare vi è in primo luogo la spalmabilità, ovviamente associata a peculiare morbidezza, per cui al taglio la fetta deve evidenziare colore roseo, uniforme ed omogeneo, esente da frazioni rancide, con profumo delicato, aromatico, tipico, deciso e speziato e gusto altrettanto delicato, sapido, mai acido. Il peso può variare tra 400 e 2.500 grammi, il diametro fra 4,5 e 10 cm. La lunghezza tra 15 e 45 centimetri, percentuale di grasso tra il 30% ed il 45%. La materia prima deve provenire da suini delle razze tradizionali Large White Italiana e Landrace Italiana, nati, allevati e macellati in undici regioni italiane: Friuli Venezia Giulia, Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo, Lazio e Molise. È consentita, nei limiti di legge, l’aggiunta di lattosio, destrosio, fruttosio, saccarosio come coadiuvanti della fermentazione, e di acido L ascorbico (E300), ascorbato di sodio (E301) e nitrato di potassio (E252) con funzione conservante ed antiossidante. Tutt’altra qualità evidenziano, com’è ovvio, le piccole produzioni artigianali totalmente prive di additivi, come quella a Cingoli, in Corso Garibaldi 46, di Gianni Sandroni, che rifiuta consapevolmente la Igp troppo permissiva e seleziona solo suini marchigiani, macellati a non meno di 180 kg, con stagionature in grotta naturale protratte fino a 12 mesi. Ugualmente valida e “additivi-free”, in Contrada Cardagnano 302, a Sarnano, c’è la bottega di Fabrizio Monterotti, che lavora solo carni suine di 4-5 allevatori locali che macellano non prima dei 15 mesi a due quintali di peso vivo. Esigentissimo, il Ciauscolo fa matrimonio d’amore con un unico vino che merita ricerca, particolarissimo e misconosciuto, la Vernaccia di Serrapetrona, rosso Docg spumante, da vitigno Vernaccia Nera di cui esistono solo 66 ettari vitati, sottoposto per disciplinare a ben tre fermentazioni: la prima dopo la vendemmia, la seconda a fine inverno dopo appassimento naturale delle uve appositamente selezionate, la terza in autoclave, per la presa di spuma col metodo Martinotti-Charmat lungo. Leader produttivo e anima del Consorzio che raggruppa sette produttori è il dinamico Mauro Quacquarini, figlio di Alberto, coadiuvato da un enologo di vaglia come Roberto Potentini. Sua è la Vernaccia più elegante, coronata da persistente spuma violacea e corredo di viole, frutti di bosco e pepe rosso, morbida e suadente, non priva di una subliminale nota animale, compatibile a perfezione con i prodotti di salumeria locale. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA