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Il cavatappi, intramontabile strumento simbolico
Pubblicato il 20/06/2014
Fotografia

A strappo di tipo vittoriano, ad alette, a succhiello a vite di Archimede, a singola e doppia leva, a lamelle, a pinza, a pompetta, a estrazione continua, da muro, elettrico, con campana a molla, integrato in un coltellino multiuso e chi più ne ha più ne metta, è impossibile immaginare come sarebbe lo stappare una solenne bottiglia senza quel gesto magico e rituale che si fa con un cavatappi. Ogni appassionato ha il suo personale che custodisce gelosamente ed anche la casalinga meno attenta al “super bere” ne conserva uno nel cassetto vicino ai fornelli, perché non si sa mai, ci può essere sempre un’occasione giusta per aprire la bottiglia dei momenti migliori.

Certo il rituale può diventare più complicato se le bottiglie vengono consumate dopo congrua attesa, con un rapporto proporzionale tra quantità di polvere sulle stesse - presa ad indice di invecchiamento - e la difficoltà di apertura; ma non occorre disperare, grazie a Dio esistono Corsi di Sommelier che insegnano la fine arte dello stappare o c’è sempre un amico esperto pronto a sacrificarsi per poi essere ricompensato con un bicchiere di quel nettare idilliaco. Ma qual è la storia del cavatappi, e quando ha preso piede questo strumento che induce i commensali ad uno sguardo prima concentrato sul suo lavoro, e poi dopo il sordo schiocco, che diciamolo apertamente non si dovrebbe fare, rallegrato e gioioso?

Nessuno sa dire con esattezza chi sia stato il primo inventore di cavatappi, anche perché le bottiglie non sono sempre state sigillate da tappi in sughero, e la storia della sommellerie insegna che i primi turaccioli in sughero non necessitavano di essere estratti per mezzo di un arnese perché i tappi sporgevano dalla bottiglia tanto da farli venir via con l’utilizzo delle sole mani. Soltanto nel XVII secolo il tappo fu trasformato nella sua attuale forma cilindrica tanto da farlo aderire perfettamente al collo della bottiglia, e risale a quel periodo in Inghilterra l’uso di stappare il sidro con il cavatappi. È noto che la forma dello stesso sia derivata dagli attrezzi usati per cavare i premistoppa dalle armi ad avancarica, e sia poi stata perfezionata la forma della spirale con numerosissime e ingegnose realizzazioni e abbellito il manico con meravigliose decorazioni, materiali pregiati e stemmi di famiglia.

In Italia sino al 1728 era vietato il commercio del vino in contenitori di vetro, ciò per opporsi alle frodi legate alla capacità delle bottiglie che, essendo di produzione artigianale, non garantivano un’uguale capacità, e pertanto il nostro cavatappi non aveva ragion d’essere. Sempre ad un inglese Sir Samuel Henshall si deve il primo brevetto di un cavatappi risalente al 1795, e ad un inventore americano il modello a leva tanto amato dai Sommelier.

Nel 1876 William Rockwell Clough lancia un modello a doppia elica oggetto delle prime produzioni di massa e da lì in poi la diffusione del cavatappi è stata planetaria. Anche dopo la produzione seriale il cavatappi ha continuato ad essere fabbricato in maniera artigianale, ma i numerosi collezionisti oggi prediligono per interesse storico quelli del XVIII e XIX secolo.

Chi volesse approfondire l’argomento ed essere informato sull’andamento delle aste che vengono programmate dalla prestigiosa casa d’aste Christie's di Londra, dove ogni anno vengono battuti pezzi rarissimi, può consultare il sito internet della prestigiosa International Correspondence of Corkscrew Addicts (www.the-icca.net), mentre chi vuole visionare un interessante museo tematico potrà recarsi a Barolo al Museo dei Cavatappi, (www.museodeicavatappi.it) che raccoglie la nutrita collezione di Paolo Annoni.

E allora per non far torto ad alcun cavaturaccioli scegliendone uno anziché un altro, andiamo a stappare un freschissimo Prosecco di Valdobbiadene della rinomata Val D’Oca, a patto che questo non venga privato del tappo con un secco colpo di sciabola, perché quella sì che è un’altra storia.

Valdobbiadene Prosecco Superiore di Cartizze Dry - Val D’Oca
Bianco Spumante Docg - Glera 100% - 11,5% - € 16,50

Manto paglierino dalla spuma cremosa e brillantezza adamantina, finissimo il perlage. Al naso è articolato e vitale con centralità di frutta matura (pesca, nespola, albicocca, pera, litchi) e rimandi a mughetto, acacia, tocchi di frangipane, resina e ginepro. L’incipit gustativo già definisce lo status d’equilibrio: effervescenza e struttura in perfetta simbiosi, con accennata freschezza a stemperare la glicerica morbidezza. Ostinato l’allungo, fuori dal comune per la tipologia, che sfuma su note di paradigmatica rispondenza. Dopo la presa di spuma, un mese e mezzo di permanenza sui lieviti. Da accostare assolutamente ad un astice bretone con tofu, coulis d’ananas e miele alle erbe aromatiche, per il proprio benessere gustativo e mentale.

 

Val D’Oca
Via San Giovanni, 45
31049 Valdobbiadene (TV)
Tel. 0423 982070
www.valdoca.com
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