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C come ciliegie
Pubblicato il 30/05/2014
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Se l’analisi olfattiva di vini a base Cesanese, Corvina o Grenache rivela sentori di ciliegia, non c’entra la fantasia del sommelier, ma il naturale contenuto in cinnamato di etile, sostanza utilizzata dall’industria alimentare per la sintesi di aromi, o di benzaldeide cianidrica, molecola presente anche nel frutto, responsabile del profumo e del gusto caratteristico. “Cerasuolo”, non a caso, è termine della scala descrittiva di quei vini che hanno un colore di transizione fra rosato e rosso, il medesimo delle ciliegie mature, indotto dal contenuto in antocianine, pigmenti idrosolubili di origine vegetale con proprietà antiossidanti e antiradicaliche, originati attraverso la fotosintesi, variabili dal rosso al blu a seconda del pH del mezzo in cui sono contenuti. Ne sono particolarmente abbondanti due tipi di frutto: l’uva nera (soprattutto le tipologie da vino) e la ciliegia, entrambi preziosi per il nostro organismo proprio per la loro capacità di reagire con agenti ossidanti quali l'ossigeno molecolare e i radicali liberi, limitando così i danni che queste molecole possono provocare alle cellule e ai tessuti. La ciliegia, o cerasa, è il frutto del ciliegio, così chiamato da Cerasunte, città del Ponto, secondo antiche fonti introdotto a Roma all’inizio delle guerre mitridatiche del 72 a.C. dai legionari di Lucio Licinio Lucullo. Il ciliegio appartiene alla famiglia delle Rosaceae, sottofamiglia Prunoideae, nel cui ambito i botanici distinguono un sottogenere Cerasus che raggruppa circa 40 specie, delle quali due soltanto hanno rilevanza ai fini dell’alimentazione umana, il Prunus avium, o ciliegio dolce e il Prunus cerasus, o ciliegio acido, entrambe note in Europa fin dall’antichità (la prima citazione è di Teofrasto, IV secolo a.C.). Altre specie come il Prunus fruticosa o il canescens Rehder sono impiegate dai vivaisti come portainnesti, oppure si usano nei giardini a scopo ornamentale, come nel caso del Prunus serrulata, il Sakura del Giappone, simbolo di bellezza effimera caro ai samurai. La nostra Italia può vantare in tal senso un patrimonio varietale particolarmente ricco, originato da secoli di selezione massale e di propagazione. In base alla consistenza della polpa, vige una prima distinzione fra varietà tenerine (le Guignes dei francesi) e duracine, dette anche duroni o graffioni (Bigarreaux). A seconda delle cultivar, in entrambi i gruppi vi sono frutti più o meno pigmentati, dal rosso chiaro al rosso cupo, quasi nero, di forma sferica, allungata o cuoriforme. Benché non sia infrequente una certa confusione di appellativi, dettata in gran parte da motivazioni di carattere commerciale, la classificazione merceologica distingue tre tipologie di ciliegio acido. Amarene: Frutti rosso intenso, appiattiti alle estremità, succo incolore, piuttosto aspro, da consumo fresco e da trasformazione. Visciole o griotte: frutti rosso scuro, arrotondati o cuoriformi, con succo vermiglio. Da Cantiano, in provincia di Pesaro-Urbino, proviene una pregiata cultivar, erroneamente chiamata Amarena. Marasca: da albero basso e cespuglioso, detto marasco o visciolino, ha frutto piccolo, color rosso scuro, dal succo amarognolo, rosso scuro anch’esso, adatto soprattutto all’industria liquoristica (Maraschino). Tra le varietà dolci da tavola, possiamo invece ricordare: la Marostica Igp, prima a marchio di tutela, rosa-rosso scuro, succosa, cuoriforme, con diametro fra i 21 e i 30 millimetri. Il Durone Nero di Vignola (Igp) dal grosso frutto rosso intenso, tendente al nero, dolce e carnoso. Ha una storia curiosa la tipologia Ferrovia, precoce, grossa e appuntita, conservabile a lungo. Originaria di Sammichele di Bari, è stata riprodotta e diffusa nel dopoguerra a partire da una singola pianta nata per caso presso i binari, coltivata dal casellante ferroviario del paese. La Mora di Cazzano, tipica del Veronese, ha colore rosso brillante, con polpa croccante dolce-acidula. La Bella di Pistoia si chiama così per il diametro rilevante e il bel colore rosso brillante, con polpa rosa, croccante e saporita. Si fregia della Dop la Ciliegia dell’Etna, ecotipi Mastrantonio, Raffiuna, Maiolina (matura già a fine aprile) e gruppo Napoleona (Precoce, Forestiera e Verifica), per i quali il disciplinare fissa parametri di acidità e grado zuccherino Brix. L’apporto calorico delle Ciliegie è di sole 38 Kcal per 100 grammi di parte edibile. A fronte di un contenuto in acqua dell’85% circa, è rilevante il tenore in carboidrati (a basso indice glicemico) e fibra (pectina), più proteine e lipidi in tracce (zero colesterolo). Prezioso l’apporto di sali minerali, tra cui potassio, calcio, fosforo, magnesio e zinco, oltre a vitamine A, C e gruppo B: Niacina (B3 o PP), Riboflavina (vitamina B2) e Tiamina (B1). Anche in considerazione di tali valenze salutistiche, la cerasicoltura mondiale è in costante incremento, e la superficie coltivata a ciliegie si è incrementata del 7% nell’ultimo decennio, raggiungendo 380.000 ettari, mentre le quantità raccolte (due milioni di tonnellate) sono aumentate del 17% tra 2001 e 2010. La Turchia è primo produttore mondiale, tallonata dagli Usa in forte ascesa, quarto posto per l’Italia prima in Europa, con produzione concentrata all’85% in Puglia, Campania, Veneto ed Emilia-Romagna.

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