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C come cappelletti
Pubblicato il 28/03/2014
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“Dopo molti discorsi, consigli e contrasti in famiglia fu deciso il gran distacco per mandar Carlino a proseguire gli studi in una grande città, e siccome Ferrara era la più vicina per questo fu preferita. Il padre ve lo condusse, ma col cuore gonfio di duolo avendolo dovuto strappare dal seno della tenera mamma che lo bagnava di pianto. Non era anco scorsa intera la settimana quando i genitori si erano messi a tavola sopra una minestra di cappelletti, e dopo un lungo silenzio e qualche sospiro la buona madre proruppe: Oh se ci fosse stato il nostro Carlino cui i cappelletti piacevano tanto! Erano appena proferite queste parole che si sente picchiare all'uscio di strada, e dopo un momento, ecco Carlino slanciarsi tutto festevole in mezzo alla sala...”
(Pellegrino Artusi “La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene”)

I Cappelletti sono una tipica pasta ripiena, diffusi in tutta la provincia reggiana dagli Appennini fino alla bassa mantovana, tradizionalmente serviti in brodo di cappone o di pollo, con abbondante Parmigiano grattugiato. Differiscono dai Tortellini sia per dimensioni (mediamente, un poco più grandi) che per il particolare modo non di torcere schiacciando (da cui “Turtlèn”), ma  di avvolgere delicatamente all’indice il triangolo di sfoglia, sigillandolo come fosse un piccolo cappello con tanto di tesa. Quanto al ripieno, sussistono numerose varianti a seconda che ci si trovi in montagna (qui le dimensioni si fanno più piccole), nella bassa oppure nel capoluogo, dalla versione più spartana a base di bietole e Ricotta allo stracotto di carni di recupero, addensato con pane grattugiato. Nulla a che vedere, com’è evidente, con la sontuosa farcia dei Tortellini bolognesi (Prosciutto, Mortadella e Parmigiano); cugini semmai, oltrepassando il Reno, dei Cappelletti romagnoli, tradizionalmente a base di Ricotta o altri formaggi teneri, come il Raviggiolo, legato con uovo e profumato con noce moscata o scorza di limone grattugiata, secondo i canoni artusiani dei "Cappelletti all’uso di Romagna": “ Cuoceteli dunque nel brodo come si usa in Romagna, ove trovereste degli eroi che si vantano di averne mangiati cento; ma c'è il caso però di crepare, come avvenne ad un mio conoscente. A un mangiatore discreto bastano due dozzine. Siccome dovranno esser piccini, e soprattutto siccome sono buoni, credetemi: ventiquattro  a testa spariscono dal piatto senza problemi”. Negli anni del brigantaggio e del Passator cortese, la smodata passione per i Cappelletti poteva addirittura costituire un problema di ordine pubblico, tanto che se ne occupa perfino il prefetto di Forlì, in una nota di servizio del 1811: « L'avidità di tale minestra è così generale che da tutti, e massime dai preti, si fanno delle scommesse di chi ne mangia una maggior quantità, e si arriva da alcuni fino al numero di quattro o cinquecento ». Le varianti asciutte, con ragù di carne o panna e altre salse, sono contaminazioni moderne, indotte dalla povertà organolettica del prodotto industriale odierno. Alla preparazione asciutta si presta casomai la variante Cappellaccio (“Caplàz”, detta anche Tortello), identica nella forma, ma grande il doppio, tipica del Ferrarese, con ripieno a base di zucca, che verso il Viadanese diventa semidolce con gli amaretti sbriciolati. Gli autentici Cappelletti romagnoli (“Caplèt”) preparati artigianalmente vanno gustati sempre e soltanto in buon brodo di carne, meglio ancora di cappone, “quel rimminchionito animale- per dirla con l’Artusi- che per sua bontà si offre nella solennità di Natale in olocausto agli uomini”. Sono cotti a puntino quando si rigonfiano e vengono a galla, ma è preferibile lasciarli riposare ancora un paio di minuti in pentola a fuoco spento, affinché assorbano meglio il brodo. Di Cappelletti in brodo, e mai di Tortellini, si parla anche nella regione Marche, dal Pesarese al Piceno, in particolare durante le  festività natalizie. Il ripieno è di recupero, a base di carni stufate in un trito di carote, sedano e cipolla, legato con uova, formaggio grattugiato, noce moscata e scorza di limone grattata. A Roma, poi, i più tradizionalisti non rinunciano ai Cappelletti in brodo del pranzo di Natale, possibilmente preparati in casa col cervelletto d’abbacchio a dare morbidezza al ripieno di carni miste bagnato col Marsala e due, tre pomodoretti nel brodo a dar verve e profumo; peccato solo che la consuetudine sia in declino, a cominciare dai ristoranti. I Cappelletti, in conclusione, appaiono legati a un’ampia area di origine, comprendente buona parte dell'Italia centro-settentrionale, con evidente sviluppo di tradizioni parallele, ancora oggi vive e vitali. Cappelletti che valgono il viaggio si assaggiano all’Osteria della Merla di Gualtieri (Reggio Emilia), all’ombra dello storico Palazzo Bentivoglio, da accompagnare con Lambrusco Stopai della locale cantina Tirelli, violaceo cupo, spumeggiante e fragrante, da Fortana e Ancellotta.

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