Bibenda
Bibenda, per rendere più seducenti la cultura e l’immagine del vino.
Visualizza tutte le notizie
C come castraure
Pubblicato il 07/02/2014
Fotografia

Metti…no, non una sera a cena, ma sabato scorso al pranzo redazionale per Bibenda 2015, vera e propria sinfonia del gusto sapientemente orchestrata dal Maestro Vissani. A far da contrappunto a già perfette polpettine di vitello eccole, fritte dorate ed emozionanti, le “castrature” del carciofo violetto di Sant’Erasmo, le Castraure, appunto, con l’accento sulla “u”. Sant’Erasmo, seconda isola della laguna per estensione (quattro chilometri di lunghezza per cinque- novecento metri in larghezza), a mezz’ora di vaporetto da Fondamenta Nuove, è da almeno cinque secoli l’orto privilegiato di Venezia, grazie ai terreni argilloso-sabbiosi, ben drenati e serviti da canali, protetti da motte atte a smorzare i freddi venti di bora. L’alta salinità conferisce particolare sapore alle colture, un tempo concimate con le “scoasse” (rifiuti domestici), mescolando al terreno conchiglie e gusci di granchio per correggerne la naturale acidità. Sua naturale appendice, Le Vignole, l’isola dalle sette vigne. Luoghi di fondamentale rilevanza economica e sociale, la cui importanza era riconosciuta, già tre secoli fa, da Vincenzo Maria Coronelli, sacerdote e cosmografo: “Sant’Erasmo ha belle vigne e giardini, da’ quali si somministra alla Metropoli quantità di erbaggi e frutti perfetti”. A chi la visita oggi, l’isola appare rigogliosa e semideserta, avvolta in un surreale silenzio, agli antipodi dei clamori urbani. Ancora ai giorni nostri, Sant’Erasmo e altre località lagunari come Malamocco e Mazzorbo si caratterizzano per  colture orticole di pregio, tra le quali hanno speciale rinomanza i carciofi, che proprio da Sant’Erasmo prendono il nome; derivati dalla varietà Violetto livornese, si coltivano un po’ in tutta la gronda lagunare veneziana da Chioggia a Cavallino-Treporti, ma a causa delle basse rese, assorbite per intero dal mercato locale, ben di rado la loro reperibilità va oltre i confini regionali. Piccolo e carnoso, il carciofo di Sant’Erasmo si presenta troncoconico e sfumato di viola, con poche ma acute spine apicali. La raccolta inizia ad aprile, ma già a fine inverno, per la gioia dei gourmet, compaiono sui banchetti di Rialto le “castraure”, ovvero i frutti apicali, recisi per permettere lo sviluppo dei cosiddetti botoli laterali (distinti, con termini dialettali caratteristici, in“botoi”, “sotobotoi” e “massete”) in numero di una ventina, di grande bontà, seppure un gradino più in basso del fratello maggiore di inarrivabile pregio. Gli “articiochi”, introdotti nella cucina veneziana dalla comunità ebraica, si raccolgono fino a giugno inoltrato, trasportati fino ai mercati di Rialto e Tronchetto  dalle caorline degli ortolani. Onde evitare confusioni con altri carciofi "mignon" privi di tracciabilità, le Castraure sono contrassegnate da apposita fascetta che ne certifica l’origine locale. Il costo è elevato, circa un euro e cinquanta a pezzo, e il loro periodo di reperibilità assai limitato. Semplicemente fritte (niente pastella, basta un po’ di farina!) sono celestiali, oppure spadellate“in tecia”, anche se i veri estimatori le esigono crude, in insalata a fettine sottilissime, battezzate da un filo di ottimo extravergine. Noblesse oblige: Private Cartizze non dosato, rifermentato in bottiglia da Bisol, secco con gran garbo, pieno e carezzevole, elegante con lungo strascico minerale. Prodotto in poco più di 1.700 pezzi, merita ricerca.

© RIPRODUZIONE RISERVATA