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C come champignon
Pubblicato il 08/11/2013
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Sinonimo di fungo coltivato, ovunque nel mondo continua commercialmente a chiamarsi Champignon de Paris, ma sarebbe più giusto chiamarlo Champignon di Pechino, vista l’oramai schiacciante leadership della Cina (70% della produzione mondiale, con 2,5 milioni di tonnellate), seguita dagli USA e Olanda al secondo e terzo posto. La Francia, fino a vent’anni fa al primo posto, scivola in quarta posizione, con 114.000 tonnellate, non più appannaggio di Parigi, ma in massima parte dei tre  dipartimenti di Maine et Loire, Vienne e Sarthe. Lo Champignon de Paris, oggi coltivato in settanta paesi del mondo, America Latina e Australia inclusi, ha preso nome dalle coltivazioni sotterranee della cosiddetta Région parisienne e della banlieue sud della stessa Ville Lumière, fino agli anni Settanta le più estese del mondo, insediatesi a partire dall’Ottocento sul sito di cave abbandonate; le “champignonnières”garantivano buona aereazione attraverso gli antichi pozzi scavati all’uopo, temperatura costante fra 12 e 16° e tasso di umidità dell’80- 90%, condizioni ideali per lo sviluppo degli Champignon, seminati su paglia e letame di cavallo. Il sistema non è del tutto abbandonato, poiché, malgrado le rese inferiori alle moderne procedure, il fungo in grotta garantisce consistenza strutturale maggiore e caratteristiche organolettiche più prossime ai funghi spontanei, senza contare la minor necessità di trattamenti chimici; ma la maggior parte delle antiche fungaie, impossibilitata a sostenere la concorrenza del prodotto d’importazione, ha chiuso i battenti tra gli anni Ottanta e i Novanta, trasferendosi in hangar refrigerati e monitorati. Sul piano qualitativo, tuttavia, la Francia resta paese di riferimento imprescindibile, se non altro per il know-how plurisecolare, risalente all’epoca di Luigi XIV. Si devono infatti a Jean-Baptiste de la Quintinie, agronomo e giardiniere reale, le prime coltivazioni di Agaricus Campestris, produttive, però, solo in primavera e in autunno, in quanto all’aperto. La tecnica non era nuova: già nella Cina di mille anni fa si coltivava il famoso Shii-take, un agarico molto simile allo Champignon, e già gli antichi Greci sapevano come far spuntare i "Pholiota" su ceppi di fico concimati con letame e cenere, secondo una tecnica poi ripresa dalla Toscana rinascimentale. Solamente ai primi dell’Ottocento, però, si può parlare di  funghicoltura intensiva su vasta scala, praticata nelle ampie e spettacolari cavità sotterranee lasciate dall’attività estrattiva soprattutto in Loira, Charente e Région Parisienne; al livello del suolo i funghicoltori preparavano uno strato fertile (da cui il nome alternativo di Champignon de couche) misto di terriccio, paglia e letame equino, all’epoca reperibile in grandi quantità e a costi irrisori presso le scuole militari di cavalleria e artiglieria della regione. In condizioni di oscurità totale, con temperatura e umidità costanti, il micelio fungino fruttificava in 15-20 giorni, consentendo più raccolti in un anno, che alimentavano un flusso di prodotto continuo verso il grande mercato parigino delle Halles. Il nome originario popolare della specie spontanea, ovverosia prataiolo, o agarico o rosé des prés, era perciò mutuato con un pizzico d’orgoglio nel più altisonante Champignon de Paris, a seconda del colore suddiviso  nelle tre tipologie Blanc, Crème e Blond. Gli Champignon si integrano a perfezione nei moderni stili alimentari e nella dieta attuale, in virtù di  un apporto calorico assai modesto (appena 15 calorie ogni 100 g) a fronte di un prezioso apporto di minerali, oligoelementi e vitamine (soprattutto gruppo B e vitamine D e K ). Povero di sodio (8 mg ogni 100 g), lo Champignon aggiunge complessità e profumo a ogni tipo di vivanda, e si può consumare anche crudo senza alcun problema. La nostra Italia vanta una produzione piccola, ma molto apprezzata, certificata dal marchio di qualità Funghi Italiani. All’epoca delle colture in grotta della Région Parisienne, molta manodopera era fornita da emigranti italiani, per lo più veneti, che rimpatriando, decisero di mettere a frutto la loro esperienza. Nascono così, soprattutto nel vicentino, diverse fungaie in grotta, poi perfezionate a fine anni Cinquanta col cosiddetto “sistema americano”, caratterizzato da strutture fisse multipiano sulle quali è distribuito il compost inseminato di spore. Gli Champignon de Paris si prestano ad infinite ricette, e costituiscono una preziosa risorsa ad ogni livello, dalla cucina familiare alle tavole stellate, ma non si accontentano di un vino qualunque. Un esempio per tutti: con un piatto di Champignon trifolati (sautés en persillade), serviti come antipasto con crostini o come contorno di pesce o carne bianca, meglio evitare astringenze e amarori tannici da rossi, preferendo un bianco elegante, equilibrato e sottilmente aromatico come la Malvasia Istriana Myò, da vigne di settant’anni  che la famiglia Zorzettig possiede a Spessa, nel cuore dei Colli Orientali del Friuli.

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