Bibenda
Bibenda, per rendere più seducenti la cultura e l’immagine del vino.
Visualizza tutte le notizie
C come cassoeula
Pubblicato il 27/09/2013
Fotografia

Anche casoeula, casoeûla, cassuola o cazzuola (stessa radice di cazza, tegame, o casseou, cucchiaio), varianti varesotte cassoeura o casöra. Mitica. Indicatore di sangue lombardo, più infallibile di un test del Dna. Non un piatto come tanti, ma un paradigma di milanesità, uno spartiacque del gusto tra meneghini autentici, che la venerano, e peninsulari diffidenti, molto più avvezzi alla solarità mediterranea che a quel connubio ostrogoto di verze e maiale color bosco d’autunno. Preferito non a caso, a quanto si dice, da un artista senza compromessi e di gran temperamento come Arturo Toscanini, parmense con dimora di famiglia a Milano. Pietanza robusta e proverbialmente calorica, esige altresì meticolosa ricerca dei peculiari ingredienti, cui segue una lunga e laboriosa preparazione, presupposti entrambi inconciliabili con i ritmi di vita attuali. Non ci son più le donne di casa solerti e pazienti di un tempo; ciononostante, a livello casalingo, la Cassoeula si continua a preparare, sia pure sporadicamente, ed è proprio in ambito familiare che, secondo alcuni, si è mantenuta più viva la popolarità del piatto, originariamente legato a Sant'Antonio abate, protettore degli animali domestici, suini in particolare. Il 17 gennaio, giorno a lui dedicato, si concludeva tradizionalmente il periodo di macellazione dei maiali. Dall’unione in casseruola (meglio se di terraglia) di zampetti, codino e cotenne non altrimenti utilizzabili e delle verze rimaste nell’orto stecchito dalle brinate è presumibilmente nata la Cassoeula, anche se alcuni storici preferiscono considerarla una semplificazione dei sontuosi stufati barocchi di carne e verdure, diffusi dalla Spagna (Olla podrida) alla mitteleuropa (Kasseler, notare l’assonanza!), senza dimenticare la Francia del Cassoulet e del Potage, da cui il nostro Bottaggio, che di Cassoeula è sinonimo italianizzante. Si tratta comunque di una vasta famiglia, della quale fanno parte anche la Choucroute alsaziana e il Sauerkraut tedesco. Piuttosto fantasiosa appare invece una terza ipotesi, che fa derivare il nome dalla cazzuola dei muratori, i quali, per ogni edificio giunto al tetto, usavano festeggiare e ristorarsi con una economica e nutriente Cassoeula, prodigioso antidoto contro la fatica e le intemperie. Ancora oggi la Cassoeula è per eccellenza pietanza fortemente identitaria e allegramente conviviale, non a caso, perciò, protagonista di numerose sagre, sia estive che invernali, con o senza polenta di accompagnamento. Le varianti ammesse sono molte: a Vigevano e in Lomellina, ad esempio, il nome muta in ragò e l’unica carne ammessa è l’oca, secondo l’antica consuetudine delle locali comunità ebraiche, mentre nel Comasco è caratteristico l’impiego dei ritagli di testa in luogo degli zampetti e nella più raffinata versione pavese si ha l’uso esclusivo delle costine. Com’è ovvio, ciascun ingrediente richiede tempi di cottura diversi: un’ora e mezzo le cotenne già fiammeggiate, sbollentate e sgrassate, mezz’ora i verzini, gli ultimi ad essere aggiunti previa sforacchiatura della pelle. Tre ore circa è  il tempo minimo complessivo, anche se, per un miglior risultato, è meglio calcolarne almeno cinque, incluso il riposo di una ventina di minuti prima di mandare in tavola. Secondo alcuni, la Cassoeula è addirittura più buona se preparata con un giorno d’anticipo. L’umido non deve risultare brodoso, ma fitto il giusto, accentuato quel tanto che basta dall’apporto colloidale di cotenna e zampetti. Nell’intento di alleggerirne l’apporto calorico (si sforano le 800 kcal a porzione), oggi si interviene soprattutto su quantità e qualità dei grassi, per cui sono oramai prassi comune rivisitazioni moderne quali la sostituzione totale o parziale del burro con l’extravergine di oliva, del rustico Barbera per sfumare con vino bianco, e dei salamini dolci detti verzini con la più comune luganega, mentre uno stinco o altre parti più nobili tendono a prendere il posto dei tagli di terza scelta. Giustamente aborrita dai puristi, ma tutt’altro che infrequente, è la contaminazione col sugo di pomodoro, più o meno arricchito da spezie e piante aromatiche. Scomparsi i “verzee”, i verzieri d’antan, diventa oramai puro folklore interrogarsi se la verza abbia preso o meno, come dice una filastrocca, “la gelada denter l’òrt /quand che passa el dì d’i mòrt”, che la rende croccante e la intenerisce. Quanto al costume di aggiungere un bicchierino di grappa nella pentola a fine cottura, nulla prova che in tal modo la Cassoeula risulti più digeribile. Ad Ossona, presso Magenta, spetta il Guinness dei primati per la Cassoeula più monumentale, conseguito il 24 Agosto del 2002, festa patronale di San Bartolomeo, durante la quale è antica tradizione consumare la pietanza, preparata con le verze quarantine. Per la Cassoeula da record (duemila porzioni) ce n’è voluto un quintale, a fronte di 25 chili di carote e sedano, più 931 chili e qualcosa di costine, fornite da 120 maiali, il tutto rimestato per ore in una “casseruola” da 3.700 litri (quattro metri il diametro) da decine di volontari armati di rastrello. Abbinamento felice con Bonarda, Buttafuoco, Frecciarossa, Barbacarlo e gli altri vini mossi tradizionali dell’Oltrepo, particolarmente indicati per il loro rustico brio e il potere sgrassante. Versioni particolarmente ricche chiamano Barbera di un certo impegno, come la Vigna Varmasi, di Ca’ del Gè, o il San Colombano Vigna Battaia di Giuseppe Guglielmini, da Miradolo Terme.

© RIPRODUZIONE RISERVATA