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C come crêpes
Pubblicato il 13/09/2013
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Uno di quegli aneddoti fondati su solida base di verità narra che, nella Montecarlo della Belle Epoque, il Principe di Galles (non ancora incoronato Edoardo VII) volle complimentarsi con Auguste Escoffier per un delizioso dessert a base di Crêpes. Lusingato, il “re dei cuochi e cuoco dei re” si offre a quel punto di dedicare a lui la ricetta tanto apprezzata. “Di una squisitezza simile non sono degno, si schermisce il principe, assai più di me lo merita semmai la giovane amica che mi accompagna”. Nascono così le mitiche Crêpes Suzette, cavalleresco omaggio all’attrice Suzanne Reichenberg, invero ricordata dai posteri non tanto per la sua arte, ma per aver ispirato uno dei totem gastronomici più noti al mondo. Ed è sempre un discepolo di Escoffier, Henri Charpentier, pasticcere nella brigade del Maestro, a perfezionarne la ricetta, escogitando la spettacolare variante alla lampada, flambata con Grand Marnier. Perfettamente a loro agio sulle mense regali, le Crêpes restano però cibo di strada e da bistro tra i più popolari, declinabile in mille varianti dolci e salate, a seconda del ripieno. Con una festa tutta per loro: il due di febbraio in Francia e Belgio si celebra la Chandeleur, la nostra Candelora, della quale le Crêpes sono cibo-simbolo. In  una calda atmosfera di fervida partecipazione, da noi paragonabile solo al Natale, si perpetua, in famiglia e con gli amici, il rituale campagnolo della prima crêpe fatta volare scaramanticamente in cima alla credenza, traendone pronostici a seconda dell’esattezza del lancio. Un po’ come le nostre lenticchie di Capodanno, la padella manovrata con destrezza è garanzia di prosperità, specie se si ha l’accortezza di stringere nella sinistra una moneta d’oro, mentre è decisamente di cattivo auspicio lasciar cadere la crêpe alla prima giravolta: Si tu sais bien tenir ta poêle,/ à toi l’argent en quantité./ Mais gare à la mauvaise étoile,/ si la crêpe tombe à côté.

Crêpe ha la stessa radice del latino crispa, crispata, chiaro riferimento alla forma ondulata e arricciata di quelle che da noi si chiamano Crespelle, cibo tra i più semplici, e proprio per questo carico di significati  rituali ab antiquo. Non è per caso, infatti, che le Crêpes siano così legate alla Candelora: un cibo rituale consimile era parte integrante degli antichissimi Lupercales di origine pastorale, poi cristianizzati da papa Gelasio verso la fine del V secolo, durante i quali i Romani si scambiavano ostie beneaugurali, purificandosi al contempo con riti lustrali e impetrando abbondanza di messi e di frutti per la nuova stagione. Cereale preferito era il farro. La crêpe moderna, verosimilmente più larga e sottile, si ottiene invece da una pastella piuttosto liquida di farina  di frumento o di grano saraceno, mescolata a un liquido (principalmente latte, ma anche burro fuso, birra e acqua, con o senza uovo) e fatta rapprendere in padella ben calda, su piastra o apposita crêpière. Tondeggiante e di spessore variabile, ripiegabile in due o in quattro per praticità, si consuma fredda o calda, al naturale o farcita. In Bretagna si distingue chiaramente fra la più delicata e versatile crêpe bianca di frumento, più indicata per le versioni dolci, (semplicemente con zucchero e cannella, oppure con composte e marmellate di vario tipo, o con miele e panna, ma va forte anche la nostrana Nutella) e la più spessa e croccante Galette tradizionale (Krampouezh, in lingua locale) a base di solo grano saraceno (è recentissimo il marchio IGP Farine de blé noir de Bretagne - Gwinizh du Breizh) impastato con acqua e sale. Le Crêpes bretoni debbono cuocere da una parte sola, si presentano marcatamente più scure e rustiche e non sono praticamente mai dolci, ma si prestano in maniera egregia a formare piatto unico con prosciutto, formaggio, salsicce, uova, cipolle, champignon con besciamella e altri sostanziosi ingredienti, accompagnando il tutto con sidro o birra. Il riconoscimento di tutela UE giunge opportuno a salvaguardare una ricetta millenaria, dal momento che le moderne crêperies tendono ormai a una ricetta standardizzata di tipo industriale, a base di un mix di farina bianca e saraceno, legato con uova pastorizzate e grassi vegetali, al fine di ottenere una crêpe più morbida e omogenea, dal gusto più blando. Alle Crêpes  propriamente dette, fa corona una numerosa parentela di preparazioni analoghe in diverse regioni di Francia e Belgio: Tantimolles nella Champagne, Roussettes nell’Anjou, Vautes nelle Ardenne, Crupets in Guascogna, Restons in Vallonia. Cambiano i nomi, ma poco o nulla la sostanza, com’è pure nel caso delle Palatschinken austro-germaniche e delle Palacsinta ungheresi, appellativi che significativamente rimandano a un’altra radice linguistica latina (placenta), al pari di Palacinka (Macedonia), Placinta (Romania), a riprova di quanto la crêpe rappresenti un vero e proprio modello gastronomico in gran parte dell’Europa orientale e in area greco-balcanica. Quanto al nostro paese, non solo vi è perfetta corrispondenza (almeno nella ricetta di base) fra Crêpes e Crespelle nostrane, ma è rilevante il contributo di ricette originali in diversi ambiti regionali, dalle Scrippelle del Teramano ai Panigacci di Lunigiana. Assieme agli emigranti dell’Ottocento, le Crêpes hanno varcato l’Oceano, caratterizzando la cucina creola della Luisiana e quella del Canada francofono, magari farcite con crabmeat, all’astice o in versione dolce con lo sciroppo d’acero della Sucrerie de la Montagne di Pierre Faucher. Assai più lontana è invece la parentela sia con i pancake americani, che con i Blinis russi di grano saraceno, nella cui preparazione entra il lievito, ingrediente che le Crêpes rigorosamente escludono.

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