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C come cardo
Pubblicato il 28/06/2013
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Originario dell’Africa del nord, si è poi ampiamente diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo, anche se risale al Cinquecento la prima menzione ufficiale del Cardo bianco: “I Cardi si mangiano ordinariamente nell’autunno e nell’inverno, fatti teneri e bianchi sotto terra”. In Sardegna è Ardu, Gobbo sui Castelli Romani, Tartano in Valtellina, Cacocciulu in Calabria. Il nome botanico Cynara Cardunculus ne rivela la parentela col carciofo, con il quale ha in comune l’amaro e la tendenza ad annerire. L’appellativo umbro-laziale di "gobbo" si spiega con la forma incurvata che l’ortaggio caratteristicamente assume nell’ultima fase. I Cardi si seminano a maggio e sono pronti per la raccolta a ottobre, senza mai irrigare o concimare, semmai effettuando un primo diradamento e una o più sarchiature, in modo da aerare il terreno ed eliminare le piante infestanti. Ad accrescimento ultimato, ogni pianta viene preparata manualmente per la fase finale di imbianchimento, che può avvenire in campo coprendo con un sacco nero oppure in locale buio fino alle soglie del Natale, periodo tradizionale di consumo. Alquanto più laboriosa è la tecnica di coltivazione del Cardo Gobbo di Nizza Monferrato, varietà Spadone, ampiamente diffuso nei terreni sabbiosi alluvionali della Valle del Belbo, nell’Astigiano, che viene scalzato avendo cura di non danneggiare le radici e parzialmente ricoperto di terra piegandolo in un solco laterale. In venti-trenta giorni le coste, incurvatesi nel tentativo di ritrovare la luce, eliminano ogni traccia di clorofilla e perdono la fibrosità in eccesso, diventando croccanti e dolci. Dopo una rapida tolettatura da foglie e gambi esterni macchiati o rovinati, i Cardi sono pronti per la commercializzazione. Prodotto Agroalimentare Tradizionale, il Cardo Gobbo nicese è l’unico che può consumarsi anche crudo, al contrario degli altri cardi che necessitano sempre di lessatura, ed è ingrediente fondamentale della Bagna Caoda. Nizza Monferrato è appunto sede di una “Confraternita della Bagna Cauda e del Cardo Gobbo”. A Cardè, invece, località del Cuneese così chiamata per l’abbondanza di Cardi selvatici, le coste vengono avvolte strettamente in carta pesante legata con spago, risultando, alla fine dello sbianchimento, candide, triangolari e piene. Ma mentre il nostro paese è ancora in attesa di un marchio di tutela, la Svizzera si fregia fin dal 2003 della Denominazione Protetta per il Cardo Spinoso del Genevois, varietà Cardo Argentato di Plainpalais, introdotto a Ginevra a metà del Cinquecento da coltivatori ugonotti del Midi. Il Cardo si presta a molte ricette, ma va in ogni caso preparato eliminando completamente le coste ammaccate o vuote e tagliandolo in pezzi da immergere in acqua acidulata col limone, per evitare che anneriscano. Semplice acqua, invece, per la lessatura, senza  aggiungere né gocce di limone né il cucchiaio canonico di farina, che sono vere leggende metropolitane. A Roma e in buona parte del Lazio, la Parmigiana di Gobbi è pietanza irrinunciabile del pranzo natalizio, di relativo impegno per la presenza del ragù di carne e del pecorino. Perfetto l’abbinamento con l’Olivella di Casale della Joria, da antico vitigno riscoperto nel Frusinate.

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