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C come cacao
Pubblicato il 31/05/2013
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Cristoforo Colombo non capì il Cacao. E tuttavia ne era incuriosito: di ritorno dal suo quarto viaggio alla volta di Guanaja (odierno Honduras), riportò a casa per mera curiosità botanica diversi frutti di quell’albero così prezioso per la popolazione locale. Da quelle cabosse simili a zucche oblunghe pendenti dai rami o direttamente dal tronco, i nativi estraevano i semi, spogliandoli dell’amarissima pellicina biancastra, e li lasciavano fermentare all’aperto, per poi tostarli su pietre roventi, al fine di estrarne una morbida pasta da stemperare in acqua assieme a un mix di spezie piccanti. La bevanda così preparata era chiamata “Xocò-atl”, in azteco “acqua amara”, ed era così popolare da far dire al napoletano Giovanni Francesco Gemelli Careri, autore del Seicentesco “Viaggio intorno al mondo”: “Non vi ha nero, né facchino che non prenda la cioccolata ogni dì, e i meglio agiati quattro volte al giorno”. A corte si consumava con la frequenza e la solennità del nostro vino. Così Diaz del Castillo, luogotenente di Cortés, descrive nel 1519 la tavola dell’imperatore Montezuma: “Frutti di ogni  tipo erano imbanditi dinanzi a lui, ma ne mangiava molto poco. Di tanto in tanto gli veniva servita in coppe d’oro una bevanda a base di cacao, a quanto si diceva di natura afrodisiaca, e io ne vidi portare molte coppe spumeggianti”. L’amaro e il piccante di quel nero miscuglio suscitano istintiva diffidenza nei conquistadores, ma già Cortès sembra apprezzarne le virtù corroboranti e tonificanti che permettono di “viaggiare senza fatica un’intera giornata, senza bisogno di nutrimento alcuno”. Tanto preziose erano quelle fave che, uso alimentare e corroborante a parte, Maya e Aztechi le utilizzavano come moneta corrente ( il tesoro di Montezuma pare ne comprendesse almeno un miliardo), e ciò vale a spiegare il primo nome dell’albero del “Cacahuate”, ovvero“Amygdala pecuniaria”, ben presto spodestato dal nome colto “Theobroma”, coniato nel Settecento da  Linneo, letteralmente “nutrimento divino” o “cibo degli dei”. Il milanese Girolamo Benzoni (1565) disprezza la bevanda, che definisce “più da porci che da uomini”, ma correttamente annota: “il Cacahuate è la lor moneta, e la produce un albero non troppo grande”.  L’areale di coltivazione del cacao corrisponde alle fasce tropicali a cavallo dell’Equatore, fra il 20° parallelo nord e il 20° parallelo sud. La produzione mondiale (dati Fao) si aggira sui tre milioni di tonnellate di fave allo stato grezzo, provenienti da 45 paesi di Africa, Centro e Sudamerica e Sud-est asiatico, oltre ad alcune isole dell’Oceania come la Nuova Guinea. Leader  della quantità  sono paesi centroafricani come Costa D’Avorio, Ghana, Nigeria e Camerun, grazie a piantagioni intensive che arrivano a rese record di una tonnellata per ettaro. Venezuela, Colombia e Perù, ma anche alcune isole dell’Oceano Indiano come Giava, Madagascar e Comores sono invece rinomati per l’alta qualità della produzione. Qui si coltiva infatti la varietà Criollo dalla buccia sottile, a bassa resa e impegnativa da coltivare (in quanto particolarmente sensibile a luce diretta, sbalzi di temperatura e fitopatie) , ma di gran pregio per l’inconfondibile e raffinato aroma. Celebri Criollo sono ad esempio le venezuelane Ocumare 61 e il famoso Chuao. La percentuale di Criollo reperibile sul mercato, inferiore allo 0.001% di tutto il cacao in circolazione, ne giustifica il prezzo elevato, da due a quattro volte più alto di quello del più comune Forastero, detto anche “Bulk” per il carattere grossolano, blandamente aromatico. Tuttavia, così come esistono biotipi interessanti di caffè Robusta, anche il Forastero vanta un’interessante punta qualitativa con l’Arriba Nacional ecuadoriano. Il Trinitario, varietà intermedia tra le precedenti, è invece un discreto compromesso fra le caratteristiche aromatiche del Criollo e l’alta resa del Forastero, e rappresenta circa l’8% del raccolto mondiale. Ibridato a Trinidad nel Settecento per ricostruire le piantagioni devastate da un parassita, è oggi acclimatato un po’ ovunque, dal Camerun alle Samoa, ed ha le sue punte di diamante nel Carenero e nel Rio Caribe venezuelani. 

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