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C come commercio equosolidale
Pubblicato il 24/05/2013
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Sabato 11 maggio 2013 si è celebrata la giornata mondiale del commercio equosolidale, un circuito in costante crescita, che opera in 66 paesi nel mondo e coinvolge oltre 1,2 milioni di individui. L’espressione “commercio equo” si diffonde alla fine degli anni Ottanta, con riferimento agli agricoltori andini autonomamente costituitisi in cooperative, anche se già nel Nordeuropa del dopoguerra diverse organizzazioni di ispirazione cristiana iniziano a importare derrate coloniali e prodotti artigianali a scopo benefico, come la britannica Oxfam o l’olandese Kerbrade, che opera dal 1950. In Francia è l’Abbé Pierre, singolare figura di religioso impegnato nel sociale, a incoraggiare analoga iniziativa. Ma è solamente negli ultimi 25-30 anni che si viene a creare una rete organica di distribuzione dei prodotti, sia in punti vendita specializzati, sia attraverso specifici corner in ipermercati e supermercati della grande distribuzione organizzata. Secondo il manifesto sottoscritto dalle diverse organizzazioni di Fair Trade, “Il commercio equo è un partenariato fondato sul dialogo, la trasparenza e il rispetto, finalizzato a garantire la massima equità nell’ambito del commercio mondiale. Attraverso la tutela dei diritti di produttori e lavoratori terzomondisti altrimenti emarginati, esso garantisce sviluppo durevole e progresso economico. Sostenute da consumatori informati e consapevoli, le organizzazioni del commercio equo si impegnano a sostenere i produttori, a sensibilizzare l’opinione pubblica e a scendere in campo a favore di un’etica nelle relazioni commerciali internazionali”. Colmando il gap di milioni di  lavoratori emarginati o addirittura sfruttati dal sistema tradizionale, si creano in tal modo i presupposti di una strategia economica decisiva per affrancarsi da condizioni ataviche di povertà e sottosviluppo. La trasparenza, inoltre, è condizione essenziale per garantire affidabilità ai partner commerciali e capacità di confrontarsi col mercato. Caratteristica peculiare del Commercio Equo e Solidale è la filiera corta, che riduce al minimo i vari passaggi relativi a raccolta, trasformazione, confezionamento e stoccaggio, evitando gli innumerevoli passaggi che aumentano solo i profitti degli intermediari, a scapito di chi produce. Mediante dialogo e concertazione, diventa così più agevole stabilire una congrua remunerazione, garantendo ai lavoratori pari dignità, senza discriminazioni di sesso, di etnia o di casta. Fondamentale, in tal senso, incrementare la quota rosa nelle governance delle diverse organizzazioni. Lo sfruttamento minorile è da combattere con ogni mezzo (come accaduto in Pakistan, ove i bambini erano impiegati per confezionare palloni da calcio), e in ogni caso vanno garantiti ai minori sicurezza, benessere e diritto all’educazione, in conformità con la convenzione stabilita dalle Nazioni Unite. Si calcola che le diverse associazioni europee raggruppate nel NEWS (Network of European World Shops) comprendano oltre 100.000 attivisti. Benché l’equosolidale costituisca una esigua nicchia rispetto al commercio mondiale, in Europa (60% del mercato) il giro di affari vale 660 milioni di euro (+154% nell’ultimo quinquennio), generato da 79.000 punti vendita, tra cui 55.000 supermercati. Arretrano sempre più manufatti e oggetti artigianali non alimentari, avanzano derrate coloniali ad alto valore aggiunto come caffè, tè e cacao, seguiti da zucchero di canna, succhi di frutta, riso e spezie. Si sono poi aggiunte gamme di cosmetici o di prodotti per fitness legati alla farmacopea tradizionale, da paesi come l’Amazzonia o il Burkina Faso. Il Fair Trade arriva a percentuali da record in paesi come la Svizzera (47% delle banane) e la Gran Bretagna (24% del caffè). In America le FLO (Fairtrade Labelling Organizations) garantiscono da oltre un decennio una filiera certificata da autorevole organismo di controllo. I produttori, un milione e mezzo circa di individui in 50 paesi di tutto il mondo, costituiscono un raggruppamento molto eterogeneo: si tratta, in rari casi, di professionisti qualificati e ben preparati, molto spesso sono contadini organizzati, come i raccoglitori di cacao boliviani o di té in India e Ceylon. In casi estremi, come in Nepal, si tratta di artigiani poverissimi e socialmente emarginati. Per molti di loro, il Commercio Equo e Solidale è l’unica alternativa a indigenza e mendicità. In Italia siamo putroppo ancora lontani dagli standard europei : la rete distributiva è di circa 600 esercizi, concentrati soprattutto al nord, e il dato italiano (circa 35 centesimi annui di spesa) è il più basso d’Europa, nonostante segnali incoraggianti come l’ambiziosa ricerca del 2003 di Milano Cattolica e Bicocca sul Fairtrade come modello di sviluppo economico o la recente legge regionale della Liguria a sostegno dell’equosolidale. 

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