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B come bonet
Pubblicato il 22/02/2013
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I PAT inclusi in apposito elenco ministeriale sono prodotti agroalimentari tradizionali caratterizzati da metodiche di lavorazione legate a un determinato territorio e consolidate nel tempo. Il Bonet (pronuncia bunet, con la u) è un dolce al cucchiaio di antichissima tradizione, tipico del Piemonte e in particolare delle Langhe, a base di uova e zucchero montati assieme, latte, amaretti sbriciolati, cacao e caffè oppure rum o altro liquore, il tutto amalgamato a freddo. La versione senza cacao, già di per sé piuttosto ricca, è detta alla monferrina. Le nonne adopravano di frequente il Fernet, non tanto per le sue virtù digestive, ma perché spesso era l’unico liquore reperibile in casa, piacevolmente in tono con l’amaricante di caramello, amaretti e cacao. La caramellatura dello stampo è appunto la prima, fondamentale operazione preliminare; una volta raffreddato,  si travasa all’interno il composto di latte, zucchero, amaretti e uova, da lasciar cuocere in forno a 170-180 gradi, a bagnomaria, per 50 minuti, controllando che l’acqua non vada mai in ebollizione. Prima di sformare è consigliabile far  riposare un paio d’ore, anche perché il dolce va servito a temperatura ambiente. La tecnica di preparazione è sostanzialmente simile a quella della Crème caramel, tenendo conto, come spesso accade nella tradizione orale, delle infinite varianti, spesso legate ai nuclei familiari. C’è chi preferisce al cacao un buon cioccolato, da stemperare a caldo prima di aggiungerlo all’impasto, c’è chi arricchisce il latte con panna fresca e chi non rinuncia a profumare grattugiando la scorza di mezzo limone. Prima di mandare in tavola, è d’uso decorare in superficie con tre o quattro amaretti interi o magari tempestando di  Nocciolini di Chivasso se invece dei biscottini alle mandorle si è optato per la popolare nocciola. Il Bonet, comunque,  è citato fin dal Tre-Quattrocento in diversi documenti relativi a celebrazioni e banchetti delle corti minori, ma è certo che non si può parlare di moderna fisionomia prima del Sei-Settecento, quando nelle cucine ricche entrano ingredienti come il cacao e il cioccolato fine: è solo a quel punto che il dolce va assumendo il bell’aspetto lucido e bruno che conosciamo, e, soprattutto, un gusto più fine e deciso. Sull’origine del nome sono state avanzate ipotesi diverse: in piemontese il termine bonèt indica un cappello o berretto tondeggiante, la cui forma ricorda quella del tradizionale stampo a tronco di cono un tempo in uso nelle campagne, oggi sostituito da moderni stampi antiaderenti a ciambella o lunghi a mattonella, tipo plum cake. L’antico stampo in  rame in cui si cuocevano  budini e  flan era familiarmente chiamato “bonèt ëd cusin-a”, letteralmente “berretto da cucina”, ovvero cappello da cuoco, secondo l’autorevole ipotesi del vocabolario Piemontese-Italiano di Vittorio di Sant'Albino del 1859. Nelle Langhe, però, è diffusa un’altra spiegazione: poiché quel tipo di dolce giunge immancabilmente a coronamento del pasto (ma in realtà il discorso varrebbe per qualsiasi altro tipo di dolce), è spontanea la similitudine col Bonet, il cappello che si calca in testa da ultimo prima di uscire. All’Osteria del Borgo di Carrù il Bonet è perfetto suggello di un pasto tradizionale imperniato su Tajarin e carrello dei bolliti, da accompagnare a Barolo chinato dei Marchesi di Barolo.

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